Negli ultimi anni i software di traduzione automatica hanno avuto uno sviluppo senza precedenti. Solo qualche anno fa non c’era molto da fidarsi del risultato di un traduttore anche molto popolare come Google Translate. Oggi le cose sono cambiate: sono nate nuove applicazioni, anche grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale per migliorare l’efficienza delle traduzioni.

Ma non è un fenomeno limitato alla sola lingua scritta. Sempre più spesso capita di imbattersi in video deepfake (quindi falsi, generati da un software) di politici e altri personaggi pubblici che parlano perfettamente lingue che non hanno mai studiato in vita loro.

È possibile che tutto questo porti a una diminuzione dell’interesse verso lo studio delle lingue straniere? È un’ipotesi che fa Anna Franchin su Internazionale, riportando alcuni dati: “In Australia nel 2021 solo l’8,6 per cento di chi frequentava l’ultimo anno delle scuole superiori aveva scelto d’imparare un’altra lingua, un record negativo. In Corea del Sud e in Nuova Zelanda le università stanno chiudendo i dipartimenti di francese, tedesco e italiano. Nei college statunitensi tra il 2009 e il 2021 le iscrizioni ai corsi di lingue diverse dall’inglese sono diminuite del 29,3 per cento, mentre nei trent’anni precedenti erano cresciute costantemente. Lo scorso settembre, dopo un acceso dibattito, la West Virginia University ha deciso di eliminare il dipartimento di lingue e letterature straniere, rimpiazzandolo con un’applicazione online”.

Difficile stabilire il livello di correlazione tra l’espansione dei software di traduzione e la contrazione dell’interesse degli studenti verso lo studio delle lingue, ma di certo qualcosa sta succedendo.

Il successo di applicazioni come ChatGPT potrebbe contribuire a questo fenomeno, vista la grande fiducia che si sta muovendo verso questo tipo di tecnologie. Ma si inizia a parlare anche dei loro limiti.

Uno dei settori in cui questi ultimi sono più evidenti è quello delle traduzioni letterarie. Come spiega l’Atlantic, “La maggior parte degli studi rileva che i modelli di traduzione automatica neurale sono in grado di tradurre solo il 30% circa degli estratti di romanzi – di solito passaggi semplici – con una qualità accettabile, secondo il parere dei madrelingua. Questi modelli sono in difficoltà perché la traduzione letteraria è un atto di approssimazione. A volte l’opzione migliore non è quella corretta, ma quella meno peggiore. I traduttori devono spesso sacrificare il significato letterale per il bene dell’opera. Ma l’intelligenza artificiale è meno abile nel fare questi compromessi e nell’arrivare a soluzioni creative che, sebbene tecnicamente meno corrette, preservano aspetti di un libro difficili da quantificare: voce, spirito, sensibilità”.

Inutile essere ingenui: può darsi che un giorno si arrivi a un modello abbastanza avanzato da ottenere traduzioni letterarie più che dignitose. La soluzione non sarà, come spiega il docente ed esperto di tecnologia Cal Newport sul New Yorker, la nuova versione di ChatGPT. Il punto sarà elaborare un modello che combini diverse tipologie di intelligenza artificiale: una molto brava a gestire i testi (come appunto ChatGPT) e un’altra che sia in grado di prendere decisioni più generali sul contenuto dell’opera e che sappia ragionare come un traduttore, piuttosto che scimmiottarne il comportamento.

Detto questo, facciamo nostra un’osservazione di Franchin: “Se diamo comunque per scontato che i traduttori automatici supereranno di gran lunga le competenze tecniche di un laureato medio in lingue, la conclusione condivisa da molti esperti di didattica e linguistica è che l’attenzione degli insegnanti dovrebbe spostarsi dagli esercizi di grammatica alla comprensione delle pratiche e delle culture radicate nei vari contesti”. In effetti l’esperienza scolastica dello studio delle lingue, almeno in Italia, è molto spesso legata al loro funzionamento, quasi fossero dei meccanismi di cui è sufficiente conoscere le regole per poterli maneggiare. Molto meno tempo è dedicato a studiare le lingue in azione, cioè nel loro svolgersi all’interno delle culture che le utilizzano. Forse studiare in classe, sui libri, non è il modo migliore di apprendere queste che non sono solo nozioni ma anche esperienze. Ci vorrebbe però non solo un diverso modo di insegnare le lingue, ma una scuola diversa.

(Foto di Ben White su Unsplash)

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