Uno dei sintomi del Covid-19 è la perdita dell’olfatto. Anche dopo la guarigione, può volerci molto tempo affinché i recettori nasali riprendano le proprie funzioni, e non è detto che tornino a farlo come prima. Per alcuni è un vero problema, per esempio per chi di mestiere fa l’assaggiatore di vini. In ogni caso, ci sembra un’occasione interessante per parlare di ciò che si sa sul funzionamento del senso dell’odorato, che rispetto ad altri apparati percettivi presenta ancora molti punti oscuri. Per cominciare, come spiega la studiosa di scienze cognitive Ann-Sophie Barwich su Nautilus, una delle cose più intriganti dell’olfatto è che l’informazione sull’odore impiega solo due sinapsi per raggiungere, attraverso il naso e la corteccia, le profondità del nostro cervello. Per fare un paragone con l’apparato visivo, due sinapsi non bastano nemmeno ad andare oltre la retina. Non c’è dunque una via più diretta per mettere in comunicazione la nostra mente con il mondo esterno.

Un sistema più complicato del previsto

Questa immediatezza, per quanto affascinante, ha generato un malinteso nel mondo scientifico. L’apparente semplicità del sistema olfattivo ha indotto l’aspettativa che una sua totale comprensione fosse imminente, ma le cose sono andate diversamente. Tre decenni dopo la scoperta dei recettori olfattivi, avvenuta nel 1991, il meccanismo dell’odorato continua a sconcertare gli studiosi. Piuttosto che arrivare a una piena comprensione del suo funzionamento, si è cominciata ad apprezzare la complessità nascosta con cui il cervello elabora e interpreta gli odori.

A quanto pare il cervello applica un approccio “combinatorio” nell’interpretare le informazioni delle molecole odorose disperse nell’aria che respiriamo. La composizione di queste ultime è infatti in continua evoluzione, e le ciglia dell’epitelio nasale (ossia i recettori olfattivi) riconoscono parti diverse di molecole diverse, che a loro volta interagiscono in diversi modi con i recettori. È dunque la percezione combinata di tutti questi stimoli a dare l’informazione di sintesi che ci porta a riconoscere un odore. Per esempio, il profumo del caffè consiste di circa 800 composti diversi.

Uno degli aspetti che rendono complesso studiare l’olfatto è la grande variabilità dell’esperienza. La percezione cambia non solo da persona a persona, ma anche per la stessa persona. Pensate al classico caso in cui annusate un vino rosso e sentite, per esempio, un aroma di ciliegia. Va tutto bene finché qualcuno non dice di sentirci una nota di vaniglia. A quel punto potrà capitarvi che la vaniglia faccia la sua comparsa, anche se non l’avevata notata prima. Come misurare scientificamente qualcosa di così suscettibile?

L’olfatto non è la vista

La ricerca sull’odorato ha cercato di indagare questo apparato usando i sistemi applicati alla vista, e in particolare il concetto di mappa. Un processo che si è rivelato utile per altri sensi, come l’udito, ma che ha portato a un binario morto rispetto all’olfatto. La corteccia olfattiva non è infatti organizzata secondo una logica spaziale. Piuttosto che di mappa, bisognerebbe parlare di mosaico di segnali. La percezione del colore è basata su uno spettro di onde elettromagnetiche e quella dei suoni su una frequenza di pressione dell’aria, che può essere mappata dai relativi neuroni. Ma la qualità dell’odore è collegata a elementi chimici strutturalmente molto diversi rispetto a suono e colore. Le molecole odorose possono avere circa 5 mila possibili caratteristiche diverse, non correlate direttamente all’odore in sé, che i recettori usano per identificare lo stimolo. Ciò che il cervello elabora dipende da ciò che i recettori mettono in evidenza, quanti di loro si attivano, per quanto tempo, in quale combinazione e in che rapporto. Con circa 400 tipologie di recettori coinvolte nel decodificare 5 mila parametri per volta, si può intuire come si tratti di un compito piuttosto complesso.

(Foto di Elle Hughes su Unsplash)

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