Il sistema italiano di accoglienza di migranti e richiedenti asilo sta attraversando un momento di difficoltà, legato a un aumento degli arrivi rispetto allo scorso anno, ma anche alle riforme da cui è stato interessato negli ultimi tempi.

Innanzitutto, bisogna constatare che il Memorandum d’intesa firmato da Unione europea e Tunisia non sta dando i frutti sperati. Il paese africano si era infatti impegnato, dietro consistenti aiuti alla sua fragile economia, a impedire le partenze di migranti diretti verso l’Europa (con l’Italia come primo approdo, data la vicinanza geografica). Conoscendo i metodi del presidente Kais Saied, è probabile che non stia andando troppo per il sottile per cercare di rispettare l’accordo, ma nonostante ciò (e nonostante analoghi accordi già stretti con Libia e Turchia dall’UE), gli arrivi sulle coste italiane sono in forte aumento rispetto agli anni scorsi.

Sarebbe bene interrogarsi sull’efficacia di questo tipo di accordi: si sostengono sistemi autoritari esternalizzando la gestione delle frontiere, girandosi dall’altra parte rispetto alle violazioni dei diritti umani che questo comporta, senza peraltro raggiungere il risultato sperato.

Ma non sono solo questi gli interventi che stanno rendendo quella migratoria una vera emergenza. Il sistema di accoglienza italiano nel corso degli ultimi anni è andato sempre più allontanandosi da un approccio di tutela delle persone, scegliendo invece la strada della sospensione, della detenzione del migrante in strutture che si limitano a dare loro solo un tetto, con l’obiettivo di rimandare indietro più o meno tutti.

Come ha spiegato Osservatorio diritti, «La legge Piantedosi ha potenziato le misure di trattenimento dei richiedenti asilo nei Centri di permanenza e rimpatrio (Cpr) e nei punti di crisi, gli hotspot. “Una sorta di carcere amministrativo in cui gli stranieri che non hanno l’autorizzazione al soggiorno in Italia sono rinchiusi in condizioni inumane e di sovraffollamento, come ha raccontato in una recente intervista il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma”, dice Calogero Musso, avvocato di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione». I richiedenti asilo – prosegue l’articolo – possono finire nei Cpr se, ad esempio, l’autorità amministrativa ritiene che sia necessario per determinare gli elementi della domanda di protezione internazionale, se hanno presentato domanda alla frontiera o nelle zone di transito, se provengono da un Paese considerato sicuro, se non hanno dato garanzie di avere risorse finanziarie. “Il rischio di abuso del ricorso al trattenimento è serio”, ammette l’avvocato».

Un altro effetto di politiche inadeguate rispetto al fenomeno migratorio è quello che sta mettendo in difficoltà diversi comuni italiani, che si trovano di fronte a un numero ingestibile di minori non accompagnati rispetto ai posti disponibili. Nonostante questi possano accedere al Sistema di accoglienza e integrazione (SAI), i posti riservati a minori non accompagnati in questi centri sono circa 6.300, mentre solo quest’anno ne sono già arrivati quasi 12.800, che si sommano ai circa 20.100 già presenti.

Il peso di tutto ciò, oltre che sui migranti stessi – che arrivano nel nostro paese dopo viaggi estenuanti che possono durare anni – ricade sui comuni, che in teoria non dovrebbero usare fondi propri a questo fine, ma che di fatto si trovano costretti a compensare politiche nazionali inefficaci.

(Foto di Ra Dragon su Unsplash)

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