«Andando avanti di questo passo, tra 12 mesi, l’Italia sarà nuovamente ai livelli di sovraffollamento che costarono la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo». A scriverlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che commenta così il report pubblicato dall’associazione e relativo al 2023.

«L’attuale tasso di crescita è estremamente allarmante – si legge nel documento –. Nell’ultimo trimestre (da settembre a novembre) i detenuti sono aumentati di 1.688 unità. Nel trimestre precedente di 1.198. In quello ancora prima di 911. Nel corso del 2022 raramente si è registrata una crescita superiore alle 400 unità a trimestre».

A fronte di poco più di 51 mila posti ufficialmente disponibili (di cui però almeno 3mila non realmente accessibili), le presenze negli istituti penitenziari erano oltre 60 mila a fine 2023. 11 anni fa l’Italia veniva condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per le condizioni degradanti a cui erano sottoposti i detenuti nelle carceri del nostro paese. All’epoca uno dei problemi più gravi era proprio il sovraffollamento: si erano raggiunti oltre 67mila detenuti, a fronte di un numero di posti disponibili inferiore a quello odierno.

Da allora, come abbiamo più volte riportato su ZeroNegativo, alcuni sforzi sono stati fatti per migliorare la situazione, tanto che la CEDU aveva poi ritirato la condanna, riconoscendo i risultati raggiunti. A questi ritmi, tra un anno ci potremmo trovare nuovamente in una situazione simile a quella del 2013, se la tendenza non cambia. La preoccupazione è data dal fatto che l’approccio e le misure introdotte dall’attuale governo sono stati determinanti in questo senso, con l’introduzione di nuovi reati, l’inasprimento delle pene per quelli già esistenti e la riduzione delle possibilità di accesso a misure alternative al carcere.

«Le politiche governative dell’ultimo anno non hanno di certo aiutato le politiche penitenziarie – ha commentato Gonnella –. Tanti sono stati infatti i nuovi reati o gli inasprimenti delle pene varati da Governo e Parlamento, dal dl Caivano, alle norme anti-rave, fino al recente pacchetto sicurezza. Scelte che non avranno alcun impatto sulla prevenzione dei reati, per cui servirebbero altresì politiche economiche e sociali, ma che stanno contribuendo e contribuiranno sempre di più al sovraffollamento penitenziario e ad un peggioramento delle condizioni di vita delle persone detenute, ma anche del personale, su cui viene scaricata la fatica quotidiana di gestire situazioni complesse a fronte di scarse gratificazioni economiche. Ci auguriamo quindi che il 2024 riapra una grande discussione nel paese sul carcere e sulle finalità della pena. Che si capisca che abbiamo bisogno di più misure alternative, di prendere in carico le persone – soprattutto quelle con dipendenza o disagio psichico – all’esterno, evitando che il carcere diventi un luogo di raccolta di marginalità e emarginazione».

I problemi vanno oltre il solo affollamento, ma riguardano in generale le condizioni della detenzione. Nel guardare i numeri a livello nazionale si perdono di vista i grandi squilibri tra regioni, che poi spesso vuol dire tra Nord e Sud. «Sembrano […] finalmente aumentare le opportunità di formazione professionale – si legge nel report –. Gli iscritti sono stati 3.359 nel primo semestre del 2023, contro i 2.248 del primo semestre del 2022. Impressionanti le disparità per regione. In Lombardia (8.733 detenuti) ci sono stati 840 iscritti. In Campania (7.303 detenuti) solo 130 iscritti».

Sono tanti gli aspetti che determinano la qualità della vita in carcere, e su tutti ci sarebbe da intervenire. La fatiscenza delle strutture, per esempio: quasi un istituto su tre di quelli visitati da Antigone è stato costruito prima del 1940, e la maggior parte di questi addirittura prima del 1900. In 1 istituto su 10 manca il riscaldamento, in 6 su 10 l’acqua calda non è garantita tutto il giorno, nella metà le celle sono prive di doccia.

E poi c’è il noto problema della scarsa assistenza sanitaria e psicologica dei detenuti, con problemi di circolazione incontrollata di psicofarmaci che spesso porta a conseguenze drammatiche, come si è visto durante i “moti” scoppiati all’inizio della pandemia.

A tutti questi aspetti, più altri, è legato il tema dei suicidi in carcere. Nel 2023 si è registrata una flessione dei casi, che sono comunque stati molti (68, contro gli 84 del 2022). Nel 2015-16 eravamo scesi al minimo da quando vengono raccolti i dati (39 per anno), da lì si è sempre oscillato tra i 48 e gli 84.

C’è insomma bisogno di riaprire il dibattito, e soprattutto di avere il coraggio e la lungimiranza di investire in misure che vadano oltre la funzione meramente punitiva, che produce solo sofferenza e nuova criminalità.

(Foto di Jennifer Grismer su Unsplash)

Può funzionare ancora meglio

Il sistema trasfusionale italiano funziona grazie alle persone che ogni giorno scelgono di donare sangue, per il benessere di tutti. Vuoi essere una di quelle persone?

Si comincia da qui