Se oggi si parla così tanto – finalmente – di cambiamento climatico, lo si deve in larga parte al Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, noto con l’acronimo del suo nome internazionale: IPCC. Noi stessi su ZeroNegativo l’abbiamo citato più volte, perché i suoi report hanno sempre un’eco piuttosto ampia anche al di fuori della comunità scientifica, a differenza di quelli di molti (quasi tutti) i documenti licenziati da altri gruppi di ricerca. Ma cosa rende così particolare l’IPCC rispetto agli altri organi di questo tipo? È possibile replicare il suo modello in altri ambiti altrettanto importanti e urgenti?
È quanto si chiede un editoriale uscito su Nature, che riflette proprio sul successo e la peculiarità dell’IPCC. «Quando si tratta di convincere i decisori a prestare attenzione alle prove scientifiche – si legge –, ci sono pochi esempi migliori – o forse più noti – del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico». I suoi report sulla scienza del cambiamento climatico, osserva l’articolo, sono letti da un’ampia gamma di soggetti in organismi diversi come aziende e gruppi di pressione, oltre che, naturalmente, dai decisori politici. Prodotti ogni sei o sette anni, i principali studi dell’IPCC hanno una portata straordinaria, che è alla base di tutto ciò che riguarda il cambiamento climatico: dagli accordi globali, come quello di Parigi nel 2015, al movimento dei Fridays for Future.
Non un risultato da poco per quella che è, in fondo, una rete di ricercatori che lavorano a titolo gratuito e fuori dagli orari di lavoro, spiega Nature. Questi scienziati passano una grande quantità di tempo a leggere e riassumere migliaia di ricerche per rispondere a domande su quanto si è riscaldato il pianeta, quali sono le proiezioni future per il clima terrestre, quali sono gli impatti del riscaldamento globale e come mitigarli, come prepararci a un futuro più caldo.
Quando si tratta di altre grandi sfide globali, non c’è un organismo di ricerca consultivo su una scala simile o con un impatto paragonabile, e non c’è nessuno che si stia strutturando per diventarlo, almeno nell’immediato. Perché il modello dell’IPCC è così difficile da replicare?
Sebbene l’IPCC sia stato istituito nel 1988, osserva Nature, i semi erano stati gettati diversi decenni prima da ricercatori che si preoccupavano delle implicazioni dell’immissione di grandi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.
Coloro che avrebbero fondato l’IPCC si resero conto che erano necessarie valutazioni periodiche per tenere sotto controllo i cambiamenti climatici, includendo l’importantissima questione della misura in cui le attività umane erano responsabili del cambiamento climatico.
La novità dell’approccio dell’IPCC consiste nel fatto che nel team che si occupa di esaminare la letteratura scientifica ci sono ricercatori impiegati dai governi partecipanti. I fondatori del Gruppo ritenevano infatti che il coinvolgimento dei governi fosse essenziale per attirare l’attenzione dei decisori sui risultati dell’organismo e per ottenere la loro fiducia. Gli scienziati che rappresentano governi nazionali elaborano sempre una “sintesi per i responsabili politici”, che presenta la ricerca in un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
Ma, sostiene Nature, ci sono buone ragioni per pensare che altre reti di ricerca non possano replicare questo livello di coinvolgimento. Gli scienziati che lavorano per i governi sono stati tra i fondatori dell’IPCC perché erano già coinvolti nella climatologia. Erano infatti dipendenti degli uffici meteorologici nazionali, quindi tra i primi ricercatori ad avere accesso al tipo di potenza di calcolo necessaria per gli studi di simulazione climatica, di cui i governi disponevano. Ciò significa che non è stato difficile includere un maggior numero di loro nei team di valutazione che lavorano con i ricercatori delle università.
Molti di questi scienziati avevano anche forti legami con i dipartimenti della difesa – per i quali le previsioni meteorologiche accurate sono fondamentali – e, grazie a questo, avevano accesso ai più importanti funzionari governativi.
Un’altra particolarità è che, fin dall’inizio, gli scienziati dei Paesi a basso e medio reddito sono stati invitati a far parte della direzione dell’IPCC, una politica insolita per l’epoca. Tuttavia, l’IPCC non è riuscito a rappresentare questi paesi adeguatamente, così come le ricercatrici e le popolazioni indigene.
Le numerose sfide globali di oggi necessitano più che mai di prove basate sulla ricerca, conclude Nature, ed è chiaro che valutazioni più rapide, mirate e inclusive sono la strada da seguire. Forse il mondo non vedrà mai “un altro IPCC”, ma proprio per questo è importante applicare lo stesso approccio creativo della sua nascita e immaginare qualcosa di nuovo e di diverso.
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