Il panorama globale dell’intelligenza artificiale (IA) è in continua trasformazione. Mentre gran parte dell’attenzione è stata focalizzata sulla competizione tra i giganti tecnologici statunitensi e cinesi per sviluppare modelli linguistici sempre più grandi e potenti, nel Sud del mondo sta nascendo un movimento meno rumoroso ma altrettanto importante. I paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente stanno infatti sfidando la concentrazione di potere nell’IA, proponendo approcci alternativi e sviluppando sistemi di IA completamente autonomi. Questo sforzo concertato mira a promuovere l’indipendenza digitale e a garantire che l’IA sia realmente accessibile a tutti, non solo a una élite. Se ne parla in una serie di articoli usciti su Nature qualche settimana fa.
La narrativa dominante nell’IA è stata in gran parte plasmata da modelli come GPT di OpenAI, Gemini di Google e LLaMa di Meta. Questi sistemi sono stati prevalentemente addestrati su vaste quantità di materiale in lingua inglese e integrati nei contesti culturali occidentali. Di conseguenza, per miliardi di persone che parlano lingue come l’hindi, l’arabo, lo swahili o l’isiXhosa, questi strumenti di IA spesso non solo fanno errori grammaticali e sintattici, ma perdono anche sfumature e implicazioni culturali fondamentali. Ciò può portare a risultati insoddisfacenti o addirittura a diagnosi errate, come nel caso di un’IA destinata alla diagnosi delle malattie del bestiame in Kenya che ha fallito perché addestrata su razze occidentali più grandi piuttosto che su quelle locali. Questo pregiudizio intrinseco comporta un rischio reale di cancellazione culturale, poiché le giovani generazioni che crescono in un mondo digitale potrebbero perdere la consapevolezza della loro storia e delle loro tradizioni locali.
A questa esigenza, il Sud del mondo sta rispondendo ripensando il presupposto fondamentale dell’IA generativa, non concentrandosi sul costruire modelli sempre più grandi, ma nel per creare sistemi su misura per gli utenti locali, le loro lingue, le loro realtà sociali ed economiche uniche. Ciò implica lo sviluppo di “modelli linguistici piccoli” (SLM), che, nonostante abbiano un numero inferiore di parametri, possono superare i modelli più grandi per compiti specifici e sono più convenienti e più facili da mettere a punto con risorse limitate. Iniziative africane come Deep Learning Indaba e Masakhane NLP promuovono una cultura della ricerca decentralizzata che porta a modelli come InkubaLM di Lelapa AI, addestrato su cinque lingue africane. In India, iniziative come BharatGen e AI4Bharat stanno creando ampi set di dati e modelli per la sua vasta diversità linguistica, mentre i paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, stanno investendo massicciamente in modelli che danno priorità all’arabo, come ALLaM e Jais.
Questo movimento è guidato da una visione dell’intelligenza artificiale che privilegia l’impatto pratico e la proprietà della comunità rispetto alla segretezza aziendale o ai semplici punteggi di benchmark. L’obiettivo è risolvere problemi reali per persone reali, come fornire consulenza agricola agli agricoltori nella loro lingua madre. Nonostante questi ambiziosi progressi, restano ostacoli significativi. La scarsità di dati per le lingue sottorappresentate rappresenta una sfida importante, poiché la creazione di modelli partendo da zero richiede ampi corpora digitali che spesso non sono disponibili. Altri ostacoli includono finanziamenti sostenibili limitati, infrastrutture informatiche frammentarie, carenza di specialisti del settore e normative giuridiche in evoluzione in materia di dati e privacy. I governi stanno intervenendo sempre più con strategie nazionali sull’IA e finanziamenti per superare questi problemi.
Da una prospettiva europea, questi sviluppi rivestono un’importanza fondamentale nel Sud del mondo. Il predominio dei sistemi di IA occidentali, addestrati principalmente su dati in lingua inglese e integrati nei contesti culturali occidentali, rischia di perpetuare, anche involontariamente, le asimmetrie di potere storiche e di creare nuove forme di dipendenza digitale. Ciò significa che per miliardi di persone gli strumenti di IA potrebbero non solo fare errori nelle loro lingue, ma anche perdere di vista importanti implicazioni culturali. Le popolazioni locali del Sud del mondo hanno il diritto fondamentale di non dipendere da strumenti che non rispecchiano realmente le loro lingue, culture e realtà socio-economiche uniche. I loro sforzi per sviluppare sistemi di IA autoctoni e sensibili al contesto sono un’affermazione dell’indipendenza digitale e della sovranità sulle proprie informazioni e narrazioni nazionali. Per l’Europa, riconoscere questo contesto significa sostenere attivamente questi movimenti, piuttosto che mettersi in competizione. Per abbracciare un approccio decoloniale, l’Europa deve abbandonare il modello di fornitura tecnologica per adottare un autentico co-sviluppo e apprendimento reciproco, riconoscendo gli approcci innovativi ed etici emergenti dal Sud del mondo come contributi preziosi a un ecosistema globale di IA realmente inclusivo ed equo. Questo approccio sarebbe in linea con le aspirazioni di leadership etica nell’IA dichiarate dall’Europa e contribuirebbe al benessere globale, correggendo gli squilibri del passato e promuovendo un futuro diversificato e resiliente dell’IA per tutti.
(Foto di Hamidu Samuel Mansaray su Unsplash)
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