La politica italiana ha trascorso settimane a discutere di una possibile “seconda ondata” di coronavirus, rassicurandoci su come la situazione fosse sotto controllo, soprattutto rispetto ad altri paesi. Negli ultimi giorni ci stiamo rendendo conto che quella stessa situazione era già la fase iniziale della seconda ondata, e oggi infatti ci troviamo con una situazione di nuove restrizioni, parziali ma generalizzate su tutto il territorio nazionale. Restrizioni che, per quanto in parte ragionevoli giunti a questo punto, avranno un impatto economico, e che dimostrano che non abbiamo imparato granché dalla batosta della scorsa primavera. Il tempo, risorsa preziosissima nel mezzo di una pandemia, non è stato sfruttato per preparare il paese e il sistema sanitario ad affrontare una situazione che, con la riapertura delle attività e il ritorno della libertà di movimento, era più che prevedibile. È stata migliorata la capacità di fare e analizzare tamponi, è stato migliorato il sistema di tracciamento dei contatti: ma non abbastanza da gestire situazioni straordinarie come quelle che, presto, potrebbero verificarsi in diverse regioni. Ieri si è scoperto che Immuni, la app che dovrebbe aiutare nel contact tracing, in diverse zone d’Italia non è attiva. Alcuni presidenti di regione ne hanno addirittura sconsigliato l’utilizzo. Se già il governo si era mosso molto tardi con la promozione, ora i cittadini avranno ancora meno incentivi a scaricarla e installarla. Noi siamo dell’idea che vada la pena farlo. Non è lo strumento che da solo risolverà le cose, ma è tra le app meglio realizzate in Europa a livello di rispetto della privacy degli utenti, e non ci risulta il dilagare di falsi positivi che alcuni avevano previsto. Diversi commenti ed editoriali usciti in questi giorni sui quotidiani italiani ruotano attorno al concetto di tempo e di come sia stato sprecato per prepararsi alla “seconda ondata”. «Erano preziosi, i tre mesi appena trascorsi – ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere –. Preziosi per andare subito a recuperare, magari con una gara nazionale, le dosi necessarie del vaccino anti-influenzale in attesa (quando sarà…) dell’agognato anti-Covid-19 e sprecati da regioni come la Lombardia, che nell’affannosa rincorsa a rimediare ai propri ritardi finirà per pagare lo stesso prodotto il triplo del Veneto. Erano preziosi per prendere di petto i grandi problemi della sanità pubblica, fino ad oggi salvata dalla generosità di medici e infermieri ma esposta soprattutto nel Mezzogiorno a gravissimi rischi mentre ancora pochi giorni fa veniva promesso “un bando super veloce” per avvicinarsi all’obiettivo di 3.443 nuovi posti letto di terapia intensiva e 4.213 di terapia sub intensiva». Stefano Feltri sul Domani guarda invece al futuro e a ciò che ci aspetta, a seconda della strategia che adotteremo: «Otto mesi di pandemia ci permettono però di vedere con maggiore chiarezza le poche alternative disponibili. La prima è continuare con la politica dei piccoli passi, una limitazione nuova alla settimana. L’esito è quello vaticinato ieri dal dottor Andrea Crisanti: un lockdown generale a Natale, per evitare di festeggiare il capodanno in terapia intensiva. Per quanto efficace, la chiusura generalizzata è anche la soluzione più iniqua e traumatica, la sconfitta della politica. Prima di arrivarci, vale la pena tentare la seconda strada: interventi drastici, immediati e mirati. […] Il ministero della Salute ha già pronta la lista delle misure, con 2-3 settimane di sacrifici la situazione tornerebbe sotto controllo. Sono interventi che richiedono coraggio al governo e collaborazione dalle regioni, dalla Confindustria, dai sindacati, dalle associazioni di categoria».

Responsabilità politiche e individuali

Riportiamo anche un passaggio dell’editoriale di Ezio Mauro, pubblicato ieri su Repubblica: «La pandemia ci presenta un caso esemplare di rapporto tra l’individuale e il collettivo, il privato e il pubblico, perché nelle nostre azioni per distanziare il Covid, togliendogli spazio d’azione, ogni atteggiamento di protezione verso se stessi diventa automaticamente un atto di salvaguardia nei confronti del prossimo. Quindi anche la solidarietà, e non solo il virus, ha un suo moltiplicatore esponenziale, ed è la responsabilità. Non c’è bisogno dell’ordine impartito dal governo per imporci il dovere di uno sforzo supplementare di attenzione, di cautela, di prevenzione che ripari il sistema minimo di relazioni sociali in cui ci muoviamo, trasformandolo per quanto si può da pericolo in uno scambio di garanzie reciproche, a tutela della civiltà e non solo della salute. Questo non significa, naturalmente, che il potere pubblico non sia tenuto a fare la sua parte e che i cittadini non debbano esigere quelle misure di contrasto che dipendono esclusivamente dal governo e in particolare dalle Regioni».

(Foto di Icons8 Team su Unsplash)