La storia del viadotto della Agrigento-Palermo che ha subito uno smottamento il 23 dicembre 2014, a pochi giorni dall’inaugurazione, pone delle domande inquietanti su come si realizzano i lavori pubblici in questo Paese. Al di là del fatto che ci siano responsabilità progettuali che andranno accertate, e che i costi per la riparazione siano “solo” «nell’ordine dei 100mila euro», come ha detto il presidente della cooperativa Cmc di Ravenna Massimo Matteucci, è tutta la procedura che ha portato a quel frettoloso taglio del nastro a “fare acqua”. L’Espresso ci ha fatto un’inchiesta, per la quale ha già ricevuto querele da parte dell’Anas, in cui si ricostruisce lo scenario che sta dietro a questo episodio di inaugurazione in anticipo sulle previsioni, così inusuale in Italia, dove la norma è la proroga dei termini e lo sforamento dei preventivi.
In un altro articolo, uscito il giorno stesso, il settimanale rivendica le questioni che, a dire dell’autore del pezzo, non possono essere smentite: «Il primo fatto è che il viadotto smottato sulla Palermo-Agrigento il 30 dicembre non poteva e non doveva essere aperto al traffico perché non era stato collaudato come descrive la legge. Il secondo fatto è che le imprese del consorzio (le coop Cmc e Ccc e la catanese Tecnis) non intendevano aprire al traffico il viadotto portato a termine con tre mesi di anticipo e dotato di un certificato di agibilità comunque illegittimo in assenza di collaudo. Il terzo fatto è che l’apertura anticipata di un solo chilometro di strada nel bel mezzo della campagna siciliana serviva sia alla politica delle inaugurazioni e degli eventi tipica della gestione Ciucci sia a i manager dell’Anas e del ministero delle Infrastrutture desiderosi di raggiungere il bonus di fine anno».
Se così stanno le cose, ci si dovrebbe aspettare una serie di dimissioni a valanga, affinché i protagonisti di questa incresciosa (seppure “piccola” rispetto alle cifre a cui probabilmente sono abituati) faccenda possano occuparsi della propria difesa in tribunale e lasciare ad altri le proprie mansioni. Invece niente, gli unici a dimettersi, ha spiegato Milena Gabanelli sul Corriere, sono stati due dei tre componenti della commissione che avrebbe dovuto fare il collaudo, col risultato che poi questo non è stato fatto. Secondo gli esperti consultati dall’Espresso, «Il rilevato dove si appoggia la spalla del ponte è smottato perché non era stato sufficientemente rullato e compresso. Non era maturato, come si dice in gergo tecnico. I tubi di drenaggio che escono dal rilevato dimostrano che il manufatto conteneva ancora molta acqua e che quest’acqua ha finito per destabilizzare l’intero viadotto».
Il governo ha chiesto al presidente di Anas Pietro Ciucci di riferire alla Camera e al Senato, e ora si dovrà decidere se istituire una commissione d’inchiesta oppure scegliere un capro espiatorio e far pagare uno per tutti. Come sempre però, a pagare saranno i cittadini, che si trovano con un’opera forse inutile e, ipotizza L’Espresso, costruita principalmente per muovere più denaro e interessi: « Il viadotto è in piena campagna, fra pecore al pascolo e colline sormontate da pale eoliche. Il paese più vicino è Mezzojuso, che non arriva a 3 mila abitanti. Problemi di ingorghi da queste parti non ce ne sono mai stati tanto che il progetto preliminare prevedeva un rinnovamento in sede della statale 121. Però costava troppo poco. Allora si è optato per una ristrutturazione con parti del tutto nuove, come i tre viadotti Scorciavacche».
C’è da riflettere rispetto al concetto di meritocrazia che dovrebbe essere applicato nelle nomine, soprattutto ai livelli di vertice. Chi entra oggi nel mondo del lavoro si trova in mezzo a una concorrenza sfrenata, in cui per un posto da stagista non retribuito in un’agenzia bisogna avere due lauree, esperienze di lavoro all’estero e conoscere tre lingue. Leggendo di questa vicenda si incontra invece una persona non laureata nominata (contro il regolamento) commissario per il collaudo, più un responsabile Area costruzioni in Sicilia nominato e poi rimosso perché su di lui pendeva una condanna in primo grado per «un affare di tangenti ed escavazioni selvagge» (il reato è poi caduto in prescrizione). Senza dimenticare gli enormi costi per la collettività dovuti all’“attaccamento alla poltrona” del presidente Anas, spiegata dalla Gabanelli: «Nominato presidente, amministratore delegato e direttore generale di Anas da Prodi nel 2006, rinuncia alla carica di direttore generale a settembre 2013, andando in pensione perché la legge non consente più il cumulo delle cariche. Incassa una liquidazione di 1.805.000 euro e 779.000 euro di indennità per mancato preavviso. Tuttavia è stato riconfermato fino al 2016 come presidente e amministratore delegato». Ribadiamo che, comunque vada a finire, a rimetterci sono sempre e comunque i cittadini.