Il volontariato non solo promuove la solidarietà, ma anche lo sviluppo di competenze sociali e di cittadinanza. Un articolo pubblicato su Welforum esplora il ruolo formativo del volontariato e la necessità di riconoscere le competenze acquisite in questa esperienza.
È da tempo diffusa la convinzione che il volontariato non fa bene solo a chi ne beneficia, ma anche a chi lo compie, perché insegna ad essere persone migliori. La dimensione formativa di questa attività è riconosciuta dalla Carta dei valori del volontariato, che afferma: “Il volontariato è scuola di solidarietà, in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili” (Art. 5).
Di questo oggi si hanno evidenze scientifiche, grazie alla ricerca sulle competenze dei volontari. La ricerca – ancora in corso – è condotta in accordo dal Forum nazionale del Terzo Settore e dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, con il coinvolgimento di Caritas Italiana.
Fra aprile e luglio di quest’anno quasi 9.000 volontari hanno risposto ad un questionario online da cui emerge la consapevolezza che il volontariato sia un’esperienza di apprendimento in cui, tra le altre, si sviluppano competenze sociali e di cittadinanza.
Il diritto al riconoscimento delle competenze
La ricerca è stata avviata come contributo all’attuazione dell’art. 19 del Codice del Terzo Settore (CTS), che sancisce il diritto al riconoscimento e valorizzazione delle competenze acquisite nelle attività e nei progetti di volontariato e lo aggancia a quello alla individuazione, validazione e certificazione delle competenze maturate nei contesti non formali e informali (D.Lgs 13/2013).
Le persone, infatti, non apprendono solo nei contesti formali (scuola, formazione professionale, università), ma in ogni situazione della vita, dal lavoro alla famiglia, dallo sport all’impegno sociale. Anzi, gli studi dimostrano che la maggior parte degli apprendimenti sono acquisiti proprio nella vita quotidiana. Si tratta, però, di apprendimenti taciti, di cui spesso la stessa persona è inconsapevole e che non sono riconosciuti nei percorsi formativi e nel lavoro. Altri apprendimenti maturano in attività di educazione non formale, cioè in quelle attività formative che non sono inserite nel sistema dell’istruzione e non rilasciano titoli, ma al più attestati di partecipazione. Si pensi, a questo proposito, alle tante attività formative promosse negli enti e nelle reti di Terzo settore. Riconoscere e convalidare questi apprendimenti è una condizione essenziale perché le persone siano valorizzate pienamente e perché sia praticabile per tutti l’esercizio del diritto all’apprendimento permanente.
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(Image by 8photo on Freepik)
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