di Federico Caruso

Sapreste descrivere il funzionamento di una chiusura lampo? Oppure quello dello sciacquone del water? O ancora spiegare il meccanismo di una serratura a cilindro? D’istinto, la risposta sarà sì, ma dietro questa ostentazione di sicurezza potrebbero nascondersi grossi dubbi. Questo perché la nostra conoscenza non si misura in quanto individui, ma in quanto gruppi. È la tesi sostenuta dagli autori del libro L’illusione della conoscenza, scritto nel 2017 da Steven Sloman (professore di Scienze cognitive, linguistiche e psicologiche alla Brown University) e Philip Fernbach (scienziato cognitivo e professore di Marketing alla Leeds School of Business della University of Colorado), e pubblicato recentemente in Italia da Raffaello Cortina.

L’idea di individuo come soggetto razionale, costruita lungo la storia del pensiero occidentale tra il XVII e il XX secolo, è stata smantellata nel corso degli ultimi decenni sotto i colpi di diverse discipline, che la accusano di essere una fantasia sciovinista dell’Occidente. Sloman e Fernbach vanno oltre, sostenendo che non solo l’idea di un pensiero razionale individuale è un mito, ma lo è anche quella di un pensiero individuale. Nonostante per anni a scuola ci abbiano spinti a “pensare con la nostra testa”, dobbiamo riconoscere che nessuno (o comunque pochissimi) di noi sanno descrivere con sicurezza il funzionamento degli oggetti che elencavamo all’inizio. Non parliamo poi di cose ben più complesse come costruire una cattedrale o un aereo. Ma questo rappresenta il nostro limite e la nostra forza, come specie.

Se da un lato, individualmente, avremmo grosse difficoltà a sopravvivere nel mondo, come gruppo (come umanità) “abbiamo” messo a segno conquiste e risultati impensabili per i nostri antenati: viaggiare nello spazio, trasferire dati e informazioni a distanza, intervenire nella genetica degli esseri viventi. Risultatti che sarebbero stati impossibili da parte di singoli individui, ma che il nostro essere in grado di “pensare collettivamente” (seppure non in maniera letterale o consapevole) ci ha permesso di realizzare.

Fin qui le buone notizie, poi vengono le cattive. Come spiega Yuval Harari nella sua recensione del libro di Sloman e Fernbach per il New York Times, oggi siamo convinti di sapere molto più di ciò che conosciamo veramente. Gli esempi che facevamo in apertura provengono da un esperimento, in cui alle persone veniva chiesto di valutare quanto conoscessero il funzionamento della zip. La maggior parte dichiarava di saperlo molto bene. Ma quando si è chiesto loro di descrivere, nel dettaglio, il meccanismo che permette di aprire e chiudere una cerniera, i risultati non hanno per niente confermato le autovalutazioni. Si chiama “illusione della conoscenza” (knowledge illusion). Tutti ne siamo vittime, chi più chi meno.

Fosse solo la zip il problema, si potrebbe anche soprassedere. Il fatto è che ci muoviamo in un mondo sempre più complesso e interconnesso (perdonate le espressioni trite, ma è così), e così ci troviamo a essere, più o meno consapevolmente, sempre più ignoranti. Nel momento in cui una nuova scoperta o invenzione introduce importanti novità in un certo settore, all’improvviso si apre un nuovo bacino di ignoranza nella nostra conoscenza del mondo. L’illusione della conoscenza diventa un fatto ancora più grave se si aggiunge il fatto che, una volta che maturiamo una convinzione su un certo aspetto della realtà, è molto difficile che siamo disposti a cambiare idea. Un altro esperimento interessante chiedeva a delle persone di dire la loro su cosa avrebbero dovuto fare, a livello militare, gli Stati Uniti in Iraq o in Ucraina. Si è notato che esisteva una forte correlazione tra una ferma opinione su ciò che si sarebbe o non si sarebbe dovuto fare, e l’incapacità di indicare su una mappa dove si trovassero i due Paesi. Quale può essere la soluzione al problema?

Purtroppo, proprio a causa della tendenza al radicamento delle convinzioni, diffondere notizie precise e accurate non basta. Quello dei movimenti anti-vaccini è un esempio evidente: per quanto vi siano numerose prove scientifiche del fatto che il vero rischio sia non vaccinarsi, molte persone restano convinte del contrario, sulla base di ragionamenti fallaci o di esperimenti rivelatisi fasulli. Un’ulteriore prova di quanto sia fuorviante pensare all’uomo come a un soggetto razionale. Sloman e Fernbach non arrivano a elaborare una soluzione definitiva al problema. Di certo il loro libro, pubblicato prima delle ultime elezioni americane, è diventato una lettura ancora più interessante dopo l’elezione di Donald Trump o il voto sulla Brexit. Se pensate di conoscere la soluzione al problema fatevi avanti, ma prima fatevi un test di illusione della conoscenza: provate a disegnare una bicicletta (non vale guardare).

(Foto di Luca Florio su flickr)