Foto di Roberto Giannotti

Complice il bel tempo dei giorni scorsi, gli arrivi di migranti sulle coste del Sud Italia sono ripresi prima del solito. Dall’inizio dell’anno sono sbarcate 22mila persone. Molte di queste (non lo ripeteremo mai abbastanza) non sono però intenzionate a restare nel nostro Paese, ma ognuno ha la propria storia e la propria meta. In un articolo del sociologo Maurizio Ambrosini, pubblicato su Lavoce.info si prova a fare chiarezza sui concetti di immigrati, rifugiati e “sbarcati”, con alcune proposte su come migliorare le leggi europee che regolano la gestione di queste persone. Ne proponiamo un estratto.

[…] Per gran parte dell’opinione pubblica, complici i media, immigrati, rifugiati e sbarcati sono la stessa cosa. Sono tutti bisognosi che tendono la mano. Invece, è necessario distinguere. Gli sbarcati in tre anni sono stati circa 140mila. Gli immigrati stranieri residenti in Italia, a seconda delle fonti, oscillano tra i 4,4 e i 5,3 milioni. Solo una modesta frazione degli immigrati quindi arriva dal mare. I più entrano con regolari permessi turistici, o per ricongiungimento familiare, oppure sono cittadini europei con diritto alla mobilità (rumeni e bulgari). E almeno 2,3 milioni hanno un lavoro. Contrariamente a quanto si crede, in questi anni di crisi, stando alle rilevazioni dell’Istat, è aumentata la loro partecipazione al mercato del lavoro regolare. Nel 2008 erano il 6,5 per cento del totale degli occupati, oggi superano il 10 per cento. In valore assoluto, si tratta di oltre 700mila occupati in più, senza considerare le difficoltà a conteggiare compiutamente chi entra per lavoro stagionale e chi coabita con i datori di lavoro. Tra il 2010 e il 2012, sono aumentati di oltre 250mila unità. Se sono andati in crisi alcuni settori molto dipendenti dall’offerta di lavoro immigrata, come le costruzioni e l’industria manifatturiera, altri, in particolare i servizi alle persone e alle famiglie, hanno tenuto molto meglio. In generale, spinti dalla necessità, gli immigrati hanno palesato una disponibilità all’adattamento di cui molti italiani per varie ragioni non dispongono. Gli immigrati, sempre più famiglie con figli, pagano imposte sui redditi e oneri sociali, affittano o comperano case, fanno la spesa, e contribuisco così all’economia italiana e alle esauste casse dello Stato. Se andassero via, l’Italia perderebbe altri punti di Pil e all’Inps mancherebbe una quota di contributi che oggi finanziano le pensioni degli anziani italiani.

LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI

Veniamo ai rifugiati. Qui il senso comune (e molta politica) sostiene che «ne arrivano troppi, l’Europa non ci aiuta». Vediamo i dati più recenti. Nel 2013 in Italia si sono registrate 27.800 nuove domande di asilo. Un dato nettamente inferiore al numero degli sbarcati (circa 43mila), perché in tanti preferiscono non presentare domanda in Italia e cercare invece di raggiungere la Germania, la Svezia, la Francia o i Paesi Bassi. Difatti l’Italia, pur registrando una sensibile crescita relativa delle domande di asilo (+60 per cento), è soltanto sesta in Europa come paese di accoglienza dei richiedenti. La Germania rimane in testa alla classifica, con 109.600 domande, seguita a distanza dalla Francia con 60.100 e dalla Svezia con 54.300. Entra poi in classifica la Turchia, con 44.800, per effetto soprattutto del tragico conflitto siriano. Ma anche il Regno Unito, lontano dalle zone calde del Medio Oriente, ci precede con 29.200 domande.

Bisogna poi tenere conto del fatto che anche i nuovi paesi membri dell’Unione, di certo meno attrezzati dell’Italia, hanno conosciuto un notevole aumento delle domande di asilo: 18mila in Ungheria (contro le 2mila del 2012), 14mila in Polonia, 7mila in Bulgaria. In definitiva, se vi fosse più solidarietà europea sul dossier rifugiati, difficilmente sarebbe l’Italia a beneficiarne.

Gli aspetti di miglioramento su cui puntare sono invece tre. In primo luogo, un’effettiva gestione europea del problema dell’asilo, con il superamento della clausola delle convenzioni di Dublino che obbliga a presentare domanda di asilo nel primo paese sicuro di approdo. Clausola concordata nel 2003, giova ricordarlo, sotto un governo a guida Silvio Berlusconi. Oggi in Europa si assiste al triste fenomeno dei “dublinati”: richiedenti asilo che, sbarcati in Italia, cercano di raggiungere il Nord Europa, ma vengono intercettati e respinti verso l’Italia in quanto primo paese sicuro, da cui cercano di nuovo di ripartire, in un carosello senza sbocchi.

Il secondo punto è il rafforzamento delle misure di reinsediamento dei rifugiati. Nel 2012in tutto il mondo, hanno interessato appena 88mila persone, un decimo dei richiedenti, accolte per la maggior parte negli Stati Uniti: una volta protetti provvisoriamente il più vicino possibile alle aree di crisi, i rifugiati dovrebbero avere la ragionevole speranza di un rapido esame delle loro domande e di una successiva possibilità di accoglienza nei paesi più sviluppati, senza dover affrontare pericolose traversate per presentare domanda di asilo.

Il terzo punto riguarda invece il nostro paese. Manca ancora una legge organica sull’asilo. Se i salvataggi e la prima accoglienza oggi funzionano discretamente, non altrettanto si può dire della seconda accoglienza e dell’integrazione. Una volta tratti in salvo e disseminati sul territorio, in misura preponderante nelle regioni del Sud, i rifugiati sono molto spesso abbandonati a se stessi anche quando vengono riconosciuti come meritevoli di protezione. Scarseggiano i progetti di formazione, avviamento al lavoro, integrazione nelle società locali. Il destino che attende gran parte di coloro che bussano alle porte dell’Italia in cerca di asilo è fatto di incertezza sul futuro, passività, giornate vuote e senza senso, lavoro nerissimo e saltuario, dipendenza assistenziale: un paese democratico e civile può fare di meglio.