Il fenomeno migratorio, nelle sue ricadute sociali, è spesso complicato da una bassa scolarizzazione di ragazzi e ragazze nati all’estero che vengono a vivere in Italia. Il problema non deriva tanto dalla legge, che prevede l’inserimento scolastico gratuito per tutti, quanto alla specificità delle realtà territoriali e familiari. «A 10 anni (scuola primaria, dove i nati in Italia sono oltre il 70 per cento) sono quasi 1 su 5 gli stranieri in ritardo di un anno – spiega il sito Sbilanciamoci.info –, e un altro 3 per cento di due anni o più. A 14 anni, in ritardo di un anno sono il 44 per cento, di due anni il 13,5 per cento, di tre il 2,5 per cento. A 18 anni, il ritardo schizza al 60 per cento. Una patologia mortificante, che scoraggia dal proseguimento degli studi e che è dovuta principalmente a inerzie e deficit professionali della scuola: perché anche quando l’italiano della comunicazione quotidiana c’è, a mancare sono spesso gli strumenti linguistici per lo studio».

In molti casi il problema riguarda giovani tra i 14 e i 15 anni, magari arrivati per ricongiungimento ad anno scolastico già in corso, che si vedono rifiutati dalle scuole per mancanza di posto. Ideale per loro sarebbe, quanto meno, cominciare subito a studiare l’italiano. Ma i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (Cpia), che dal 2014 hanno sostituito i Centri territoriali permanenti (Ctp), accettano solo persone dai 16 anni in su. Si tratta di strutture che in molte realtà funzionano, ma che non possono sostituire il normale percorso formativo, perché pensate per il recupero di anni scolastici da parte di chi è in una fase più avanzata della vita: «I Cpia erogano corsi per l’alfabetizzazione – scrive Silvia Kuna Ballero su Pagina99.it –, il conseguimento della licenza media e l’inserimento in scuole superiori per studenti di qualunque nazionalità che abbiano compiuto i 16 anni. Oggi il territorio italiano conta 126 sedi, a cui afferiscono circa 1.800 plessi distaccati». Nello stesso articolo sono contenute alcune dichiarazioni di Emilio Porcaro, dirigente del Cpia di Bologna, secondo il quale la transizione è stata positiva: «Mentre i Ctp erano un’attività a latere delle scuole, ora disponiamo di istituti con un proprio dirigente scolastico e un’organizzazione autonoma destinata unicamente all’utenza adulta e carceraria». Di certo non mancano le criticità. Secondo Porcaro «il problema principale è logistico. Avremmo bisogno di edifici dedicati, che conferiscano un’identità ai centri, anziché di spazi ricavati in altre scuole. Occorrono inoltre insegnanti formati nella didattica per competenze in un pubblico adulto, eterogeneo, perlopiù straniero».

Il Cpia di Bologna ha garantito a 370 alunni la licenza media nel 2015, mentre quest’anno sono stati 420. Il modello dunque funziona, ma è appunto rivolto agli adulti, dunque per quanto riguarda i giovani che abbiano meno di 16 anni è la scuola ordinaria a doversene occupare. «Secondo il recente rapporto della Commissione Europea, in Italia nel 2015 solo il 14,4 per cento dei nati all’estero (tra i 30 e i 34 anni) ha conseguito un diploma d’istruzione terziaria (laurea o formazione professionale); in crescita rispetto al 2012 (11,4 per cento), ma sempre in coda all’Europa». Sull’articolo di Sbilanciamoci.info citato più su si può leggere la storia di un bambino cinese che a Roma si trova a vivere proprio questa situazione di limbo: non accettato dalla scuola pubblica, troppo giovane per accedere ai Cpia. Per fortuna non è così ovunque e, tra i casi più virtuosi, l’articolo di Fiorella Farinelli cita l’Emilia-Romagna, dove «le Questure, che sanno dei “ricongiunti” prima che arrivino, ne informano per tempo l’amministrazione scolastica in modo da facilitare una corretta programmazione dell’offerta. Mentre in Lombardia e Friuli si sono fatti accordi per abbassare a 15 anni l’età di accesso alle scuole per adulti. È un’età difficile, quella dei 14-15enni, per i ricongiunti come per i minori non accompagnati (più di 23mila da gennaio 2016). Troppo grandi di età o troppo segnati dall’esperienza per accedere, quando le medie o le superiori li rifiutino, alle classi della primaria. E spesso troppo giovani, invece, per poter cogliere l’unica e preziosa opportunità offerta dai Centri dove si può imparare la lingua, conseguire la licenza media, accedere a diplomi o qualificazioni professionali».

Non si tratta di un problema che riguarda solo i diretti interessati, ma indirettamente va a colpire anche i genitori. In base all’accordo di integrazione del 2012, voluto dall’allora ministro Roberto Maroni, la mancata frequenza scolastica dei figli comporta infatti la perdita del permesso di soggiorno per i genitori.

Fonte foto: flickr