Nella mattina di venerdì 9 luglio, nel porto di Augusta (Siracusa, Sicilia), è finalmente potuta attraccare la nave Ocean Viking, gestita dall’organizzazione non governativa Sos Méditerranée. A bordo della nave, come spiega Avvenire, c’erano 572 persone, salvate in sei diverse operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale. Tra di esse molte donne e minori. Tutto avverrà nella massima sicurezza a livello sanitario: «A bordo il personale medico dell’Usmaf effettua i controlli sanitari e tutti i profughi vengono sottoposti al tampone. I minori saranno trasferiti in centri di accoglienza, mentre tutti gli altri dovrebbero essere imbarcati su una nave quarantena». «Una nave – ha scritto una nota Luisa Albera, coordinatrice ricerca e soccorso di Sos Méditerranée a bordo della Ocean Viking – è per definizione un mezzo temporaneo di trasporto verso un luogo sicuro per le persone salvate in mare. Trattenere le persone su una nave per un periodo di tempo prolungato, quando hanno appena vissuto un’esperienza vicina alla morte in mare, è aggiungere violenza e sofferenze inutili ed evitabili».
Purtroppo queste situazioni si ripetono periodicamente, nonostante le tante dichiarazioni sulla volontà dell’Unione europea di trovare una soluzione alla gestione delle emergenze nel Mediterraneo.
In quest’ultimo periodo la narrazione delle migrazioni in arrivo da Tunisia e Libia, con la ripresa dei flussi dopo un periodo di relativa tranquillità, ha ripreso toni vicini a quelli dell’invasione incontrollata. Ma è davvero così?
L’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) ha pubblicato il suo report annuale che confronta la percezione sul tema delle migrazioni rispetto ai dati. Vediamo di seguito le cose principali.
Siamo in una situazione di emergenza?
«Non c’è dubbio che gli sbarchi in Italia siano aumentati rispetto ai minimi del 2019 – scrive Matteo Villa, ricercatore che ha curato il report –, e che dopo la prima ondata della pandemia questo aumento abbia conosciuto un’ulteriore accelerazione. Siamo passati dai circa 11.000 sbarchi l’anno della metà del 2019 a circa 45.000 persone sbarcate nel corso degli ultimi 12 mesi. Ma una prima domanda da porsi è se gli sbarchi siano ancora in aumento rispetto ai numeri attuali: al momento diversi indicatori fanno pensare, al contrario, che i numeri si stiano stabilizzando intorno ai 50.000 l’anno». In passato abbiamo attraversato momenti di maggiore concentrazione di sbarchi, come nel 2014-2017, in cui si registrarono tra i 110mila e i 180mila sbarchi all’anno. Siamo ancora lontani, dunque, dai picchi del recente passato.
Il sistema di accoglienza italiano è sotto pressione?
«A fine maggio, il sistema di accoglienza italiano ha fatto registrare il primo aumento nel numero di migranti presenti nelle sue strutture da quasi quattro anni a questa parte. Ma la situazione nelle strutture di accoglienza italiane è lontanissima dal numero massimo di migranti accolti, fatto registrare a ottobre 2017: allora erano 191.000, oggi sono 76.000 (-60%)». Villa fa notare però che resta ampiamente sottoutilizzato il sistema dell’accoglienza diffusa (denominato nel corso degli anni SPRAR, SIPROIMI e poi SAI), che ospita solo 25 mila delle 75 mila persone accolte. Il resto rimane nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) che, come dice il nome stesso, non dovrebbero servire alla gestione ordinaria.
La presenza delle ONG spinge i migranti a mettersi in mare?
«Negli anni si sono accumulate le evidenze in favore delle ipotesi che l’arrivo di imbarcazioni delle Ong di fronte alle coste libiche non incide in misura significativa sul numero di migranti che partono da quelle coste».
Nonostante la grande eco mediatica degli sbarchi gestiti dalle ONG, il 90 per cento dei migranti raggiunge le coste italiane con imbarcazioni proprie, senza l’aiuto di ONG. Quindi, che ci siano o meno queste ultime a pattugliare il Mediterraneo, queste persone si sarebbero comunque messe in viaggio.
Il COVID-19 c’entra con l’aumento degli sbarchi?
«La pandemia ha certamente contribuito all’aumento della pressione migratoria irregolare alle frontiere sud d’Europa – scrive Villa –: come mostra il grafico qui in alto, gli arrivi di migranti irregolari sono aumentati sia per la Spagna, sia per l’Italia. E in misura simile, malgrado i trend precedenti fossero nettamente diversi (in diminuzione da numeri più elevati per la Spagna; in leggero aumento da numeri molto bassi per l’Italia)».
Ci sono sufficienti canali regolari di arrivo in Italia?
«È sempre difficile dare una definizione di “sufficienti”, ma di sicuro i canali regolari verso l’Unione europea nel corso dell’ultimo decennio anziché allargarsi si sono fortemente ristretti. Per esempio, l’Italia regola l’accesso nel paese da parte di cittadini non-Ue attraverso i cosiddetti “decreti flussi” annuali, che stabiliscono quote d’ingresso. Se si escludono dal computo le quote riservate ai lavoratori stagionali, che ogni anno possono fare il proprio ingresso in Italia per poi tornare nel proprio paese d’origine (di solito dopo circa sei mesi), i flussi di ingresso di maggiore permanenza sul territorio nazionale si sono notevolmente ridotti».
(Foto di Enrica Tancioni su Unsplash)
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