Poco più di un mese fa, pubblicavamo un articolo che conteneva alcune precisazioni sul concetto di accoglienza e sui meccanismi normativi che impongono all’Italia di garantire assistenza a chi si affaccia sul nostro territorio per chiedere asilo. Al telegiornale si sentono spesso alcuni politici invocare cambi di linea che diano la possibilità di respingere immediatamente le persone in arrivo, ma c’è poco di realmente praticabile in questo senso, a meno di non intervenire pesantemente sulla Costituzione. Al contrario, a guardare da vicino il problema, come spesso capita si scopre che le cose stanno in maniera alquanto diversa rispetto a come ce la dipingono certi servizi, soprattutto in alcune interviste ai personaggi responsabili della gestione dei Cara (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo).
Una delle richieste più sbandierate è che l’Europa si faccia carico del problema, perché esso non si può considerare di natura locale, anche se il nostro territorio è tra i più interessati a causa delle sua vicinanza con l’Africa. Si invoca quindi un intervento comunitario a supporto dell’attività di monitoraggio e intervento, creando così un frame -ossia una cornice attraverso cui guardare un fenomeno- in cui l’Italia starebbe affrontando il problema con le proprie sole forze. Non è così, e lo spiega Maurizio Ambrosini in un articolo del 20 agosto per lavoce.info: «Nel 2005 l’Unione Europea ha varato il sistema Frontex per coordinare la vigilanza sulle frontiere esterne dell’Unione. Finanziato con 6,3 milioni di euro nel 2005, ha visto il suo budget crescere a quasi 42 milioni nel 2007 e a circa 87 milioni nel 2010. L’Unione quindi non lesina le risorse per il controllo delle frontiere, con incrementi molto maggiori di quelli registrati da tanti altri capitoli di spesa».
Semmai è l’Italia che dovrebbe farsi carico di migliorare la propria gestione, soprattutto burocratica e di allocazione delle risorse. Per esempio, traendo spunto da una serie di proposte pubblicate da Terrelibere.org: «Per sbloccare una situazione che è diventata ormai esplosiva occorre che il governo centrale istituisca di nuovo le sottocommissioni competenti ad esaminare le domande di asilo, o ne raddoppi comunque il numero, per garantire tempi di attesa più brevi di quelli attuali, quasi un anno, e il mantenimento di procedure eque e trasparenti nell’adozione di decisioni che condizioneranno tutta la vita dei richiedenti. Ed è anche importante che vengano rimossi gli ostacoli di natura amministrativa e contabile per il pieno accesso dei ricorrenti contro i dinieghi al patrocinio a spese dello stato, unico strumento per evitare che anche in questo campo si diffondano comportamenti speculativi o vere e proprie truffe ai danni dei migranti».
Chiudiamo con un ripasso dei numeri, perché se anche la drammaticità degli sbarchi non può che colpire allo stomaco, le cifre ci restituiscono un quadro che fa apparire l’Italia meno «minacciata» dall’«invasione straniera» di quanto molti non cerchino di dipingerla: «I dati del 2011 parlano di 571mila rifugiati per la Germania, quarto paese al mondo per numero di persone accolte; 210mila per la Francia; 194mila per il Regno Unito; 87mila per la Svezia; 75mila per i paesi Bassi, contro 58mila per l’Italia. Se guardiamo al rapporto tra rifugiati e numero di abitanti, i dati ci dicono che la Svezia supera i 9 rifugiati ogni 1000 abitanti, la Germania si colloca sopra quota 7, i Paesi Bassi intorno ai 4,5, mentre l’Italia ne accoglie meno di 1».