
A volte, dando un’occhiata alle notizie di politica italiana, verrebbe voglia di essere al posto della sonda Rosetta, lanciata dieci anni fa dall’Agenzia spaziale europea e giunta ieri con successo alla cometa cui era destinata, a oltre 400 milioni di chilometri di distanza dalla Terra. Ciò che non dovrà mai vedere Rosetta, impegnata nelle difficili manovre di avvicinamento al corpo celeste, sono per esempio il dibattito e le votazioni relative alle riforme costituzionali che stanno avvenendo in questi giorni in Parlamento. In particolare, il tema che divide molti, dentro e fuori dalle due Aule, è quello dell’immunità per i nuovi senatori.
Ne abbiamo parlato tempo fa, quando l’argomento iniziava a chiedere attenzione, date le sue controverse implicazioni. Come dicevamo allora, pur sapendo che l’immunità ha una motivazione e una storia ben precisa nel nostro Paese, non si può dimenticare che il nuovo Senato dei nominati sarà composto quasi totalmente da persone che già ricoprono altri incarichi pubblichi, e quindi queste vedrebbero cambiare il proprio status giuridico nel “salto” dall’ente territoriale a quello statale. Riportiamo un breve passaggio del nostro articolo di allora: «Il fatto che i nuovi senatori post-riforma conservino o meno questa immunità introduce comunque una disparità, come fa notare anche Massimo Giannini. Se non la conservassero, la disparità sarebbe tra senatori e deputati, perché i rappresentanti delle due camere avrebbero uno statuto giuridico diverso, pur occupando seggi che compongono un’istituzione unica, il Parlamento. Se invece fosse conservata, la loro condizione sarebbe iniqua rispetto ai colleghi degli enti locali». La trappola è quindi ben piazzata, e il legislatore non potrà che inciamparci qualunque orientamento prevalga. Non è nostro compito salire in cattedra e sentenziare quale sia il male minore, la direzione “meno iniqua”. Ci limitiamo a far notare nuovamente le contraddizioni contenute in una riforma tirata per i capelli da più parti, che sembra piacere solo al governo e che divide anche i partiti che lo sostengono.
Va detto che non siamo più ai tempi di Mani pulite, quando molte volte si è parlato di fumus persecutionis, perché sembrava che il clima da resa dei conti tra magistratura e politica potesse sfociare nella volontà persecutoria di alcuni giudici. I tempi sono cambiati, e le ultime autorizzazioni votate dal Parlamento per permettere l’arresto di parlamentari si sono poi rivelate giuste, visto che dalle indagini sono effettivamente emersi reati a carico degli indagati (per esempio nel caso dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi). I tempi sono cambiati anche in un altro senso: il clima generale suggerisce che oggi non si tratta più di resa dei conti tra magistratura e politica, ma tra quest’ultima e i cittadini. Inutile commentare ulteriormente i dati delle ultime votazioni (soprattutto in merito all’astensione in continuo aumento): è chiaro che è venuta meno una fiducia che proprio con Tangentopoli ha subito un duro colpo, salvo non risanarsi mai del tutto, nonostante il Palazzo abbia continuato a seguire le proprie logiche spostando l’attenzione su altro. Forse non è questo il nodo attorno al quale ricostruire il rapporto, ma indubbiamente servono dei segnali, e quelli arrivati finora sono decisamente deboli. Rispettare i tempi di approvazione delle riforme (e sul Senato il governo sembra determinato a non mollare) è un impegno nobile, ma non vorremmo poi ritrovarci con un sistema nuovo quanto farraginoso.
Quanta invidia, Rosetta!