Da un po’ di tempo si parla molto di NFT, del fatto che sia o meno una tecnologia destinata a sparire presto, del loro impatto sull’ambiente. Vediamo di capirci qualcosa.
Innanzitutto, come spiega il Post, «La sigla NFT sta per Non-Fungible Token (in italiano si può tradurre con «gettone non riproducibile») e indica un certificato di autenticità digitale: sono insomma delle etichette che, attraverso la blockchain, attestano l’originalità e l’unicità di un contenuto». Nella maggior parte dei casi si tratta di un’opera d’arte visuale, ma potenzialmente qualsiasi contenuto digitale può diventare un NFT. Qualunque cosa che possa essere letta da un computer è infatti costituita da una sequenza di 0 e di 1, e quindi vi si può aggiungere questa sorta di certificato che la rende unica, che si tratti di un audio, un video, un post sui social media, ecc.
A questo punto bisogna spiegare anche il concetto di blockchain, introdotto dalla definizione. Da un altro articolo del Post: «La blockchain (letteralmente “la catena di blocchi”) è un sistema di controllo mantenuto da migliaia di terminali informatici in cui, come in una specie di grande libro mastro, si può tenere traccia di operazioni e transazioni di vario tipo. Nel caso dei bitcoin, la blockchain permette di garantire l’autenticità di ogni bitcoin, e quindi di ogni transazione che li usa».
È proprio il legame degli NFT alle blockchain a causarne l’impatto ambientale. Come spiega Earth.org, la creazione di un NFT, cioè il momento in cui un artista “registra” la propria opera nella blockchain (solitamente Ethereum, legata alla criptovaluta Ether), si genera una transazione in criptovalute, e così ogni volta che l’opera viene scambiata. Il sistema che garantisce l’autenticità dei file scambiati richiede però un’altissima capacità di computazione, che viene distribuita su grandi computer che consumano molta energia.
È difficile stimare l’impronta ecologica della creazione di un NFT, spiega ancora Earth.org, perché non è noto l’impatto ambientale di molte fasi del processo e ci sono pochi studi scientifici peer-reviewed sul tema. Digiconomist stima che l’impatto ambientale di una singola transazione di Ethereum sia di 33,4 kg di CO2, mentre l’artista e programmatore Memo Akten stima che una transazione media specifica per gli NFT comporti l’emissione di circa 48 kg di CO2. Una transazione di NFT ha quindi probabilmente un impatto ambientale più di 14 volte superiore a quella della realizzazione di una stampa d’arte, che Quartz stima in 2,3 kg di CO2. Sulla base di queste stime, per quanto imperfette, diversi artisti si sono rifiutati di entrare nel mercato degli NFT.
C’è da dire che, a fronte del problema ambientale, sono nate criptovalute che sfruttano un sistema diverso di verifica dell’autenticità. Secondo Tezos, una di queste, il consumo energetico annuale stimato della sua blockchain è di 0,00006Twh, rispetto ai 33,57Twh di Ethereum. È possibile quindi che in futuro altre criptovalute (e quindi anche gli NFT basati sulle relative blockchain) adottino sistemi simili.
Lo scienziato Caleb Scharf ha osservato su Nautilus che la grande invenzione della “fungibilità”, data dal fatto che gli “oggetti” digitali sono fatti di sequenze riproducibili di 0 e di 1, diventa un limite nel momento in cui vogliamo trasformare quei beni in prodotti “non fungibili”. Per farlo, almeno per ora, bisogna ricorrere alla ridondanza, cioè aggiungere informazioni che richiedono computazione ed energia.
Il suo invito, di fronte all’enorme dispendio di energie richiesto dalle blockchain e dagli NFT, è di provare a ripensare i contenuti digitali in modo da rendere inutile la blockchain: «Se i dati fossero più simili ai granelli del marmo di una scultura di Michelangelo, l’intera nozione di NFT sarebbe irrilevante. Ogni bit conterrebbe la propria impronta digitale tracciabile in modo univoco, senza bisogno di un ulteriore segno di non fungibilità». Finché non si trova il modo di farlo (ammesso che qualcuno non ci sia già riuscito), forse è il caso di fare un passo indietro: «Le blockchain sono intelligenti e aiutano a colmare la carenza di contenuti digitali non fungibili. Ma è un momento terribile per creare un altro peso planetario in rapida crescita. Mettere in pausa un sistema come gli NFT (o ripensare e ricostruire i fondamenti della non fungibilità digitale) fino a quando l’umanità non avrà trovato un modo per generare tutta la nostra energia in modo pulito, dal solare, dal nucleare e così via, sarebbe più sensato».
(Foto di Shubham Dhage su Unsplash)
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