Quando pensiamo alle discriminazioni, siamo abituati a pensare per compartimenti stagni: c’è chi è discriminato perché straniero, chi perché omosessuale, chi per il colore della pelle, ecc. La realtà è molto più complessa, e infatti da tempo nel dibattito su questi temi si parla di discriminazioni multiple e intersezionalità.
Quasi sempre, infatti, le cause di discriminazioni tendono a sommarsi e interagire tra loro, portando grandi sofferenze alle le persone coinvolte e ponendole in un labirinto pieno di vicoli ciechi.
Il concetto di intersezionalità «fu teorizzato per la prima volta negli Stati Uniti dalla giurista e attivista afroamericana Kimberlé Crenshaw per definire le discriminazioni e violenze subite dalle donne nere americane, non solo in quanto donne e non solo in quanto nere, ma in quanto donne nere – si legge in un articolo di Wired di qualche anno fa –. Le donne di colore, secondo la teoria, sono metaforicamente situate a un incrocio in cui convergono diverse strade, strade che rappresentano assi di possibile oppressione (razzismo, sessimo, etc.). Chi sta al centro del crocevia può essere vittima di incidenti derivanti da urti simultanei, quindi più gravi. Il principio si può applicare con lo stesso criterio a tutti gli individui – o gruppi di individui – oggetto di discriminazioni a causa della concomitanza di più fattori: omosessuali musulmani, donne musulmane, omosessuali latino-americani, uomini e donne affette da disabilità, e così via».
Nel tempo in Italia sono nate diverse iniziative e associazioni che affrontano il problema nella sua complessità, offrendo assistenza e aiuto a persone in situazioni di questo tipo. Redattore Sociale ha parlato con le responsabili di sportelli specifici a Genova e Trento: «La nostra esperienza è nata dagli sportelli antidiscriminazione razziale – ha spiegato Serena Ospazi, coordinatrice degli sportelli di cittadinanza di Arci solidarietà Genova –. Su Genova e in altre città della Liguria siamo conosciuti da tempo nella comunità dei migranti e questo rapporto di fiducia rende più semplice rivolgersi a noi che ad altri. Frequentemente ci troviamo a intervenire sulla discriminazione amministrativa e sul mancato accesso ai servizi. Il lavoro che facciamo non è solo di accompagnamento per la risoluzione dei problemi, ma anche di ascolto e prevenzione. Abbiamo seguito per esempio diversi casi di richiedenti asilo omosessuali, discriminati fin dal paese di origine e che una volta in Italia non vengono creduti dalla Commissione che deve decidere sulla loro richiesta di protezione. Questo crea una serie di difficoltà di vita anche nelle comunità in cui sono accolti. Spesso hanno paura persino di raccontare la loro storia».
A Trento lo sportello che si occupa di questi casi è nato dalla richiesta dei cittadini e grazie ai finanziamenti del progetto INGRiD: «Abbiamo spesso forme di discriminazione sul lavoro, che riguardano soprattutto le donne; storie di ragazzi di origine straniera a cui viene negato l’accesso a locali pubblici per il colore della pelle», ha spiegato la responsabile Giorgia De Carli. «Il lavoro di rete con altre associazioni ci aiuta nel monitoraggio. A livello di metodo noi raccogliamo una segnalazione, ci mettiamo in contatto con la vittima o con il testimone e cerchiamo di capire se si possa parlare effettivamente di discriminazione e di che tipo di discriminazione. Nella maggior parte dei casi però le persone non intraprendono un iter giuridico, ma si rivolgono a noi per parlare o per chiedere un supporto psicologico e sociale».
Uno dei settori in cui le discriminazioni multiple si fanno più sentire è quello della salute, sia a livello scientifico che di approccio al lato più umano di queste problematiche. I progetti Consultoria e Sei Trans* di Torino affrontano proprio questo tipo di disagi, anche qui cercando di avere un approccio inclusivo e multilivello.
Alcuni esempi su come si concretizzi il problema dal punto di vista sanitario sono forniti dalle attiviste del gruppo femminista Non una di meno: «Significa ad esempio che le persone trans hanno difficoltà ad avere un trattamento adeguato alla loro esperienza o alla stigmatizzazione delle persone nere. “Se sei lesbica, ti dicono che non possono farti una visita perché vergine, se sei donna e hai qualche dolore, di non preoccuparti, che è normale provare dolore con le mestruazioni; se sei una donna nera che esageri con il dolore, il tuo dolore vale meno”».
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