Sono stati da poco pubblicati i dati di uno studio sugli effetti del lavoro in carcere. I risultati confermano ciò che tutti gli esperti sottolineano da tempo, ossia l’importanza di occuparsi della qualità della pena, oltre che della sua durata. In questo, il lavoro è un elemento centrale – e anche in questo, ovviamente, la qualità ha una sua importanza.
Lo studio ha coinvolto oltre 300 detenuti in tre penitenziari (Torino, Padova e Siracusa), circa un terzo dei quali dipendenti di cooperative, un terzo dell’amministrazione penitenziaria, un terzo disoccupati. Le persone sono state intervistate una prima volta e poi, di nuovo, a distanza di circa un anno.
I primi dati riguardano il benessere psicofisico dei detenuti. «Fisicamente – si legge – il peso medio dei detenuti incontrati oscilla intorno agli 80 chilogrammi. Gli obesi sono tra chi non lavora il 14,4%, tra chi lavora per l’Amministrazione il 15,5%, tra chi lavora per le cooperative il 7,8%». Inoltre «i “depressi” e gli “scoraggiati” sono il 20% di chi lavora per cooperative, il 25% circa di chi lavora per l’amministrazione penitenziaria (AP), il 55% di chi non lavora”. Secondo gli osservatori “chi lavora per le cooperative è più propenso a pensare di “valere almeno quanto gli altri”: lo pensa l’88,9% di tutti gli intervistati, ma con una differenza di oltre 14 punti tra chi lavora per l’AP. (82,0%) e chi lavora per le cooperative (96,1%). Inoltre chi lavora per le cooperative ha più frequentemente un atteggiamento positivo verso se stesso (95,2%), con un divario di quasi 17 punti rispetto a chi lavora per l’AP. (78,4%)».
Altre domande hanno riguardato la relazione con gli altri e con la pena che si sta scontando. Anche in questo caso, un lavoro soddisfacente è associato a una generale soddisfazione verso la vita e un migliore rapporto con se stessi. «Desiderano più rispetto i detenuti che non lavorano (73,6%) in confronto ai lavoranti per l’amministrazione (63,9%) e ai lavoratori per le cooperative (61,4%). Il 18,6% dichiara di pensare “a volte di essere un buono a nulla”: lo pensa il 26,9% di chi non lavora, il 20,4% di chi lavora per l’Amministrazione e il 9,5% di chi lavora per le cooperative.
La pena è considerata giusta dal 30,8% dei detenuti che non lavorano, dal 39,8% dei lavoranti per l’AP e dal 41,2% dei lavoratori per cooperative. Differenze analoghe emergono dall’espressione “malgrado le restrizioni del carcere mi sento libero”: in media, meno di un terzo (31,3%) dei detenuti incontrati si sentono liberi, ma la percentuale varia significativamente tra chi non lavora (il 15,4% si sente libero), chi lavora per l’AP (36,1%) e per le cooperative (40,8%). […]
“Complessivamente sono soddisfatto di me stesso”: il 75,3% lo è, ma con una differenza di quasi 11 punti tra dipendenti dell’amministrazione (70,1%) e dipendenti delle cooperative (81,0%). La positività dell’ascoltare gli altri ricorre maggiormente tra chi lavora per le cooperative (84,8%) rispetto a chi lavora per l’amministrazione (75,0%) e chi non lavora (75,6%)».
Come dicevamo in apertura, la qualità è un aspetto centrale nel processo di recupero: «La differenza si fa con la quantità e qualità del lavoro, durante la detenzione per evitare la condanna ad una “vita immobile”, dove il “dopo” non viene preparato. “È una vita che non riabilita, che “contiene la persona” con elevati tassi di sofferenza umana. I cambiamenti “in miglioramento” riguardano soprattutto i lavoratori delle cooperative».
Queste considerazioni rispecchiano pienamente quelle contenute nel resoconto dell’associazione Antigone rispetto al 2021. Quello lavorativo è infatti uno dei tanti problemi che affliggono il sistema penitenziario italiano, che «oggi, ancor più del passato, è un contenitore dell’emergenza sociale, della povertà e dell’esclusione – si legge –. Per quanto riguarda infine il lavoro, in media lavorava nel 2021 il 43,7 per cento dei detenuti. La maggior parte di loro alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e con mansioni che spesso non hanno alcuna spendibilità all’esterno. Inoltre, per far lavorare più detenuti possibili, il numero di ore lavorate è molto basso, come dimostra lo stipendio lordo medio percepito che è di 560 euro al mese».
(Foto di Simone Impei on Unsplash )
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