Su ZeroNegativo ci occupiamo spesso di questioni di genere, e quindi lo facciamo anche oggi che si celebra la Giornata internazionale della donna. È un tema su cui c’è ancora molto da fare, e su cui crediamo sia importante tenere alta l’attenzione. Una società che discrimina le donne, che non riconosce la piena parità di diritti su tutti i livelli, non può dirsi una società giusta. Guardando al passato, probabilmente si può affermare che le cose vanno un po’ meglio. Ma il lavoro è appena all’inizio.

La ricercatrice dell’Istat Annalisa Cicerchia propone su Lavoce.info di guardare ai parametri stabiliti dall’Agenda Onu per il 2030, che al quinto posto tra i suoi 17 obiettivi prevede di “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Perdura l’asimmetria in ambito domestico. Per una donna con figli è più difficile lavorare, segno che la maggior parte del peso della genitorialità va sulle spalle delle madri: «Nel 2021, il tasso di occupazione delle donne tra 25-49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 53,9 per cento, mentre quello delle donne della stessa età senza figli è di 73,9 per cento. Il dato è in peggioramento rispetto al 2020». Il dato è confermato da quello sul lavoro domestico, che resta sbilanciato a sfavore delle donne: «L?a quota di tempo dedicato dalle donne di età fra 25 e 44 anni al lavoro familiare è pari al 62,6 per cento sul tempo di lavoro complessivo della coppia di partner occupati. Restiamo tuttavia ancora lontani dal 50 per cento».

Non bisogna poi dimenticare che i dati a livello nazionale tendono a mascherare le divergenze anche ampie che sussistono tra Nord, Centro e Sud in quasi tutti gli indicatori. Per il parametro appena considerato, per esempio, si registra un’asimmetria che al Sud sfiora il 70 per cento, mentre al Centro si attesta al 62,4 per cento e al Nord al 60 per cento.

Ci sono tante altre informazioni nell’articolo di Cicerchia, che vengono dal capitolo 5 di questo Rapporto Istat e che lasciamo a voi esplorare.

Bisogna però stare attenti quando si guarda ai numeri, perché da soli non bastano a spiegare tutto. Visto che su ZeroNegativo ci occupiamo, nel nostro piccolo, di fare informazione, proviamo a soffermarci su questo comparto così importante per ogni democrazia sana. Di certo non mancano e non sono mancate in Italia grandi giornaliste, il cui lavoro ha contribuito a formare le opinioni sul mondo di tanti di noi. Eppure, quanti nomi di direttrici di giornali vi vengono in mente? Secondo un articolo di Rolling Stone dello scorso giugno, «28 dei 30 quotidiani più letti in Italia sono diretti da maschi, così come i 7 telegiornali delle maggiori reti televisive e i 5 giornali online più letti». È possibile che nel frattempo si sia mosso qualcosa, ma non di molto.

Eppure non è detto che le cose debbano andare così. Come spiegava qualche settimana fa la newsletter Charlie del Post, che si occupa di questioni relative all’informazione, «Per la prima volta nella storia, con l’ingresso nel ruolo di Emma Tucker al Wall Street Journal, da questa settimana tutte e tre le più famose testate economiche del mondo sono dirette da donne: Roula Khalaf al Financial Times e Zanny Minton Beddoes all’Economist».

Ciò che accade nel campo giornalistico si rileva anche in molti altri settori. La divulgatrice Donata Columbro ha spiegato per esempio come qualcosa di simile accada nelle discipline STEM (acronimo che sta per Science, Technology, Engineering e Mathematics). Il numero di donne che entrano nel mondo della ricerca non è inferiore a quello degli uomini, solo che poi questi ultimi fanno rapidamente carriera, mentre le donne restano indietro. Sicuramente diversi fattori concorrono a questa dinamica, ma indubbiamente la scelta di diventare madri condiziona pesantemente il percorso professionale.

Rilevare problemi e disuguaglianze diventa ancora più difficile quando mancano i dati. Questo accade per svariati fenomeni e colpisce diverse categorie di persone, spesso fragili e vulnerabili. Un’inchiesta dello European Data Journalism Network, a cui ha preso parte anche Openpolis, si è dovuta scontrare proprio con questo problema: «Abbiamo in primo luogo riscontrato una oggettiva difficoltà a trovare i dati, soprattutto per via della scarsa armonizzazione a livello europeo tra le categorie utilizzate». E in ogni caso i dati disponibili dipingono una realtà drammatica: «A fronte di una generale diminuzione degli omicidi volontari dagli anni ’90 a oggi – rileva Istat – si mantiene elevato il numero di donne che vengono uccise da persone a loro vicine. Anzi, proporzionalmente (come incidenza sul totale degli omicidi), si tratta addirittura di un dato in crescita, rispetto ad altre tipologie».

Con questi pochi paragrafi abbiamo fatto ciò che gli anglofoni definiscono scratch the surface, ossia grattare la superficie di un problema che resta profondo e articolato. Ma ci auguriamo siano bastati a far capire perché a nostro avviso celebrare la Giornata internazionale della donna resti un dovere e un impegno.

(Foto di Claudio Schwarz su Unsplash)

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