Chissà se il nostro appello pragmatico al voto ha convinto qualcuno. Se anche fosse, di certo non è stato sufficiente a evitare il tracollo della partecipazione elettorale che si è registrato nelle votazioni di domenica 25 settembre.
I politici, almeno quando parlano in pubblico, commentano i risultati elettorali parlando sempre e solo rigorosamente di percentuali. Sia chiaro: non vi è dubbio circa l’indicazione di voto da parte degli elettori. Ma guardare anche i valori assoluti porta a ridimensionare la portata di vittorie annunciate come trionfi, e forse anche di insuccessi narrati come disfatte epocali. Al di là dei risultati, la sconfitta è generalizzata se non si riescono a portare le persone a votare.
Secondo la ricostruzione del Post, l’astensionismo «dipende da diversi fattori socio-culturali, politici e istituzionali: le precarie condizioni economiche e la marginalità sociale portano le persone a essere maggiormente sfiduciate e a non sentirsi rappresentate da nessuno. Una parte dell’astensione si spiega anche con la comunicazione dei sondaggi e dei pronostici: una parte dell’elettorato, rassegnata di fronte alla prevista sconfitta, decide di non andare a votare. […] Un altro fattore è l’aumento del disinteresse generale nei confronti della politica. Secondo l’ultima indagine dell’ISTAT, la lontananza dalla politica coinvolge il 27,6 per cento delle persone, in aumento rispetto al 22,6 per cento di cinque anni prima. Vi è una quota crescente di popolazione che, oltre a non informarsi di politica, non partecipa né in forma diretta né indiretta».
Enzo Risso su Domani, prima dell’ultima tornata elettorale, faceva un’interessante analisi storica dell’astensionismo in Italia, che da fenomeno fisiologico si è trasformato in vera e propria patologia. «Il processo astensionista dal 2013 è entrato in una ulteriore fase e ha assunto i contorni, per una parte dell’elettorato, della smobilitazione politica. Esso è diventato una patologica disaffezione civica, alimentata dal clima generale di disimpegno e dall’avanzare dei fenomeni di delusione e d’insoddisfazione per lo spettacolo offerto dai partiti. Una patologia che si è arricchita di due tratti: l’iraconda volontà punitiva verso i partiti che hanno deluso e la disillusione verso l’intera classe dirigente per la sua incapacità di pensare al futuro per il paese. L’astensione, oggi, è un magma articolato composto da settori sociali delusi, da soggetti in difficoltà economica, da arrabbiati con i partiti e le aree di appartenenza, da persone che puntano il dito contro i poteri forti, da quanti criticano i partiti per la loro inerzia di fronte ai problemi reali della gente».
Donata Columbro e Barbara Leda Kenny sull’Essenziale sottolineano come, all’interno di un fenomeno già preoccupante, il problema sia ancora più accentuato per le donne, che in Italia tendono a votare meno degli uomini. «I partiti sono tradizionalmente associazioni dominate da una cultura maschile, e anche dopo l’ingresso delle donne nella struttura organizzativa non sono cambiati. Le donne faticano a trovare uno spazio e di conseguenza anche a provare interesse per la politica dei partiti. La ragione del loro astensionismo quindi potrebbe essere la separazione che persiste nella società italiana tra la dimensione pubblica, del governo e del lavoro, e quella privata, della casa e della cura: la prima è una dimensione maschile e la seconda femminile. Questa persistenza si lega a un modello tradizionale in cui gli uomini principalmente lavorano e le donne principalmente si prendono cura. […] Facendo una generalizzazione, più sono grandi le disuguaglianze e minore è la partecipazione delle donne al voto».
La lettura è interessante, anche considerando il fatto che per la prima volta da circa due decenni, nella prossima legislatura la percentuale di donne elette diminuirà, invece che aumentare.
Una nota positiva è rilevata invece da Giovanni De Mauro, che su Internazionale si sofferma sull’importanza di un altro strumento di partecipazione politica: la protesta. Un fenomeno che sta riguardando soprattutto i giovani, il che fa ben sperare rispetto al contributo futuro che potranno offrire al paese: «In Italia le persone protestano. Sono soprattutto ragazze e ragazzi che hanno partecipato in settanta città allo sciopero globale di venerdì scorso contro la crisi climatica. Erano trentamila a Roma, diecimila a Milano e altrettanti a Torino. Molti di più di quelli che, lo stesso giorno, erano ai comizi di chiusura della campagna elettorale».
(Foto di Francesco La Corte su Unsplash)
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