«Dopo i diritti civili riconosciuti dalla Liberazione, dopo i diritti economici e sociali degli anni Settanta e Ottanta, è arrivato il tempo di definire le condizioni di una reale e sostanziale parità. Questa terza generazione di diritti delle donne si basa da un lato su uno sforzo senza precedenti per garantire l’effettività dei diritti acquisiti, dall’altra anche su un lavoro di educazione e di cambiamento nei comportamenti per agire alla radice della disuguaglianza. Questo lavoro, che inizia a scuola, deve essere ugualmente fatto nelle istituzioni, nelle amministrazioni, nelle imprese, nei media e nelle associazioni. Poiché le disuguaglianze sono presenti ovunque, dobbiamo agire ovunque». Tutto ciò non sta scritto nella Gazzetta ufficiale in cui si pubblicano le leggi italiane affinché entrino in vigore, bensì si tratta di un disegno di legge votato dal Parlamento francese.
Al momento siamo alla fase della discussione (anche molto accesa, soprattutto al di fuori delle Aule): dopo una prima approvazione da parte del Senato e dell’Assemblea nazionale (le due Camere dell’ordinamento francese), il testo dovrà essere esaminato una seconda volta, non prima della primavera 2015. La sua importanza non è comunque secondaria, perché, come ha scritto il New York Times (qui riportiamo la traduzione che ne ha fatto ilPost.it): «Questo disegno di legge pone la Francia in prima linea negli sforzi per combattere la continua discriminazione nei confronti delle donne. Considerate le minacce ai diritti delle donne in altri paesi d’Europa e nel mondo, compreso l’accesso legale all’aborto, l’impegno del legislatore a legiferare in modo rigoroso è un buon esempio di quello che i governi possono fare per sostenere la parità dei diritti e le pari opportunità per le donne».
Il progetto di legge tocca cinque grandi aree tematiche: politica, famiglia, lavoro, violenza e autodeterminazione. L’obiettivo esplicito è il pieno raggiungimento dell’effettiva parità tra i sessi e in ogni area sono previsti interventi specifici. Dal punto di vista del lavoro, si amplia il principio delle “quote rosa” dai consigli di amministrazione delle sole società quotate in Borsa a tutte quelle con più di 250 dipendenti e un volume d’affari superiore ai 50 milioni di euro. In questi casi la percentuale di donne nel cda non potrà scendere sotto il 40 per cento. In ambito familiare si inducono entrambi i genitori a richiedere il congedo parentale per occuparsi dei figli: la legge prevede infatti che il prolungamento di tale dispositivo sia possibile solo per il genitore che non ne ha ancora usufruito, in modo da indurre quel 96 per cento di uomini che non chiedono il congedo a farlo. Novità anche in tema di aborto (siamo al capitolo famiglia), che non sarà più legato a una condizione di “sofferenza” o “disperazione” da parte della madre, ma diventerebbe un diritto a tutti gli effetti. Interessanti provvedimenti previsti in caso di violenze domestiche. Qui il giudice potrà disporre l’espulsione immediata da casa del coniuge violento, senza quindi aspettare la fine del processo (che non si tiene quasi mai perché, proprio per timore di eccessive lungaggini burocratiche, sono poche le donne che denunciano le violenze, e questo vale in Francia come in Italia). In politica ci saranno sanzioni per i partiti che presenteranno liste con uno scarto superiore al due per cento tra uomini e donne.
Una serie di misure interessante, che sta generando un ampio dibattito tra posizioni più progressiste e altre più radicali che si oppongono soprattutto a misure come quella sull’aborto (qui ognuno ha le sue idee e non entriamo nel merito) e sul congedo parentale. Si può discutere sulla questione delle “quote rosa”. Effettivamente ci sono settori a cui storicamente (e statisticamente) le donne sono meno interessate (ingegneria meccanica, per dirne una), quindi costringere un’azienda ad avere donne nel proprio cda potrebbe voler dire abbassare la qualità della dirigenza, visto che la scelta avverrebbe all’interno di un campione molto piccolo. È vero anche che comunque, siccome che la clausola si applicherebbe a poche aziende molto grandi, è probabile che alla fine il problema non si crei comunque. Intanto potrebbe essere un passo intermedio per arrivare a uniformare gli stipendi di uomini e donne (a parità di ruolo le seconde sono penalizzate in termini economici). E in Italia? Mentre gli altri discutono del futuro, qui stiamo a guardare.