Quando si parla delle politiche per preservare il patrimonio culturale italiano, solitamente si pensa a opere che risalgono a epoche lontane millenni, secoli, o almeno qualche decennio. Dopo la conflagrazione della Città della scienza di Napoli, avvenuta nella notte tra lunedì e martedì, tale concetto ha bisogno di essere ripensato, dato che l’opera in questione è stata varata nel 1996 (e poi ampliata nel corso degli anni successivi). Ci preoccupavamo di Pompei che cade a pezzi, e in poche ore le fiamme (che potrebbero essere di origine dolosa, le indagini sono in corso) si sono mangiate un pezzo importante del nostro patrimonio culturale recente.
Un’idea nata dal fisico Vittorio Silvestrini -che ne presiede il consiglio di amministrazione-, da sempre interessato alla comunicazione scientifica estesa al grande pubblico. «Il ragionamento di fondo -spiegava in un’intervista– parte dalla convinzione che la principale materia prima dello sviluppo sia il sapere scientifico. Se un Paese non utilizza questa risorsa resta indietro, è destinato a perdere competitività sul piano internazionale. C’è poi un altro aspetto da considerare e ha a che fare con la dimensione sociale del problema. Lo sviluppo scientifico, infatti, fa da battistrada allo sviluppo di civiltà e, se non è accessibile a tutti, diventa un fattore di non equità. Perché le scelte del futuro, inevitabilmente legate ai risultati della scienza, siano diffuse e partecipate, devono essere scelte consapevoli. La comunicazione scientifica ha anzitutto la responsabilità di prefigurare a chi scienziato non è quali siano i sentieri percorribili, ma anche quali siano i rischi ad essi connessi. Quindi, in sintesi, per tornare alla domanda di partenza, l’importanza di una comunicazione scientifica estesa al grande pubblico oggi passa attraverso la duplice motivazione dell’accesso di un Paese allo sviluppo economico e produttivo e dell’accesso alla partecipazione pubblica da parte dei suoi cittadini. La Città della scienza è nata proprio su questo doppio presupposto: l’influenza della scienza sulla civiltà e le ricadute economiche-produttive del sapere scientifico».
Una lezione vincente, che è stata recepita nel corso del tempo, dato che la struttura era visitata da 350mila persone all’anno, di ogni età, genere ed estrazione sociale. Inoltre era un polo di eccellenza non solo per Napoli, ma per l’Italia intera, che ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi ed «è stata scelta dall’Unesco per realizzare musei scientifici a Gerusalemme (parte palestinese) e Baghdad. Inoltre il Pontificio consiglio della cultura ha affidato l’organizzazione di un centro di divulgazione scientifica in Nigeria» (fonte: Wikipedia). E non era un modello solo per i contenuti, ma anche per le prospettive che portava con sé. Grazie alla Città era stato recuperato il quartiere industriale Bagnoli, strappato al degrado, e inoltre essa rappresentava un esempio di cultura in grado di muovere l’economia, come ben sanno le 160 persone che vi lavoravano, e che da ieri non sanno più cosa sarà della loro vita professionale. Se fosse accertata l’origine dolosa, al danno si aggiungerebbe l’onta dell’insulto della criminalità verso un patrimonio che era di tutti, e che a quel punto assumerebbe un significato simbolico ben preciso. Ma dalle ceneri è pronta a partire la ricostruzione: vi invitiamo a visionare questa pagina, in cui è già partita la raccolta fondi lanciata dalla fondazione Idis-Città della scienza. Sul sito tutti i dati per effettuare il versamento, con cui si vuole ripartire per dare un seguito a una bellissima storia interrotta bruscamente.