Come da tempo denunciato da alcune associazioni di settore, in italia c’è carenza di educatori professionali. Tale mancanza risulta ancora più grave se guardata in prospettiva futura, dato che grazie ai fondi del PNRR nei prossimi anni nasceranno nuove strutture, e quindi saranno necessari ulteriori educatori. Come sintetizzato dalle associazioni educAzioni e Alleanza per l’Infanzia, «il rischio è quello di ritrovarsi fra pochi anni con l’”hardware” (gli edifici adibiti per i nuovi nidi) e poi non avere il “software” (il personale qualificato per gestirli)».

Uno degli aspetti che spiegano in parte questa carenza strutturale è dato dalle condizioni di lavoro. «Sono passati più di cinque anni dalla legge 205 del 2017 che avrebbe dovuto regolamentare la professione degli educatori – si legge su Osservatorio Diritti –, ma le loro condizioni di lavoro sono pessime: orari massacranti, decine di contratti diversi, stipendi bassi». Nell’articolo si parla di un’iniziativa di sensibilizzazione lanciata dal Comitato per i diritti degli educatori professionali del Piemonte, che denuncia i problemi del modo in cui sono regolamentati i rapporti di lavoro, facendo alcuni esempi concreti: «In alcune realtà vengono ancora richieste le “notti passive“: si fa la notte in comunità, ma non viene pagata perché, dicono, la notte si dorme. Ma non è così e, comunque, non ci si può allontanare perché si è in servizio». E ancora: «In caso di assenza, per malattia o per altri motivi, della persona che seguono, gli educatori si “congelano” e le ore in cui dovrebbero essere a scuola o sul territorio non vengono riconosciute come lavoro. E lo stipendio, già risicato, si riduce».

Un ulteriore problema è che non sono riconosciuti i tempi (e spesso nemmeno i costi) per gli spostamenti. Le ore di lavoro settimanali sono quindi spalmate su orari e luoghi diversi, portando a un impegno orario che diventa totalizzante anche per chi teoricamente lavorerebbe part-time. Anche i lavori di preparazione e programmazione non sono riconosciuti, nonostante impegnino spesso le sere e i fine settimana.

Il risultato è che, lungi dallo spingere nuove persone a intraprendere il percorso per diventare educatore, sono sempre di più coloro che cambiano mestiere in cerca di condizioni migliori e una maggiore stabilità. Le strutture si trovano quindi a corto di personale, il che porta a un peggioramento della qualità del servizio, e chi ne paga le conseguenze alla fine sono i ragazzi e le ragazze.

Questa situazione di emergenza porta poi a soluzioni di emergenza, come quella di dare temporaneamente la possibilità di assumere persone non qualificate, a costo di coprire le lacune del personale. Ciò ha comportato un’ulteriore riduzione del riconoscimento della professione dell’educatore, che certamente non contribuisce a rendere appetibile tale scelta lavorativa.

Come hanno spiegato Alleanza per l’infanzia ed EducAzioni, «Per incoraggiare i giovani a intraprendere questo percorso formativo e la professione di educatori/educatrici della prima infanzia e per garantire la qualità educativa di questi servizi, occorre da un lato riconoscere maggiormente questa professione, nella sua piena specificità e dignità educativa, in continuità con la scuola dell’infanzia, con la scuola primaria e secondaria, dall’altro intervenire radicalmente sulla “giungla contrattuale” e le disparità sia di trattamento economico, sia di riconoscimento professionale, che caratterizza i rapporti di lavoro, a seconda che si tratti di nidi a gestione pubblica, privata o di terzo settore».

(Foto di ponce_photography su Pixabay)

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