A fine luglio è stato presentato il Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, curato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa). Nel 2021, si legge, «le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 69,1 chilometri quadrati, ovvero, in media, circa 19 ettari al giorno. Un incremento che mostra un’evidente accelerazione rispetto ai dati rilevati nel recente passato, invertendo nettamente il trend di riduzione degli ultimi anni e facendo perdere al nostro Paese 2,2 metri quadrati di suolo ogni secondo». Si tratta, come fa notare Duccio Facchini su Altreconomia, del valore più alto degli ultimi 10 anni. Tutto questo è avvenuto a discapito della «“scomparsa irreversibile di aree naturali e agricole” per far posto a nuovi edifici, infrastrutture, poli commerciali, produttivi e di servizio. Per non parlare della “crescente pressione dovuta alla richiesta di spazi sempre più ampi per la logistica”. Non c’è una ragione demografica dietro a questi processi di urbanizzazione: la popolazione residente è calata ma non il consumo di suolo, arrivato alla quota pro-capite (impressionante) di 363 metri quadrati per abitante nel 2021 (erano 349 nel 2012)», si legge ancora nella sintesi di Facchini.
Per fare un confronto con altri paesi, basti dire che la copertura artificiale di suolo in Italia è arrivata al 7,13 per cento del totale, contro una media europea pari al 4,2 per cento. Le aree più colpite dal consumo di suolo sono quelle già più compromesse, come le città ad alta densità. Vuol dire sempre meno spazi verdi nelle aree urbane, che le rende sempre meno in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici in corso. Le aree verdi sono infatti molto importanti per alleviare l’effetto delle “isole di calore” che rendono difficile la vita nelle città nel periodo estivo.
Oltre al paradosso delle continue nuove edificazioni a fronte di una tendenza demografica che va verso una preoccupante contrazione della popolazione (secondo l’Istat dal 2014 abbiamo “perso” circa 1,3 milioni di persone), c’è da rilevare che esistono in Italia «oltre 310 chilometri quadrati di immobili a oggi “non utilizzati e degradati”. “Una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli”, si legge nel Rapporto».
Come sottolinea Paolo Pileri sulla stessa testata, «Nessuno vuole fermare l’edilizia e l’urbanistica ma solo quelle non sostenibili. […] L’unica urbanistica e l’unica edilizia possibili, in un’Italia sempre meno credibile per i suoi non tentativi di arginare il consumo di suolo, è quella del recupero di quanto abbiamo già (un dato che nessuno ha e predispone: altra vergogna)».
La situazione qui sintetizzata è possibile grazie a due fattori chiave. Da un lato il fatto che di questi temi i giornali parlano poco – se non a livello locale –, evitando di conseguenza di richiamare la politica a esprimersi e intervenire. Dall’altro il fatto che se tutto questo accade è perché le leggi regionali esistenti consentono tale scempio, come sancisce lo stesso Snpa: «Questo incontrastato processo di degrado del territorio non piove dal cielo ma è reso possibile, come ricordano i curatori del Snpa, dall’”assenza di interventi normativi efficaci” e dalla mancanza di un “quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale”. Le conseguenze ambientali sono note: armi spuntate contro desertificazione, siccità e dissesto idrogeologico, città meno sicure e meno resilienti, perdita di produttività agricola e di carbonio organico nello strato superficiale del suolo, cancellazione di habitat naturali, mancata ricarica delle falde acquifere, erosione e frammentazione del territorio».
Ancora più netto il giudizio di Pileri: «L’aumento del consumo di suolo del 34 per cento in un solo anno dimostra anche ai più sordi quanto fallimentari siano le leggi regionali che da anni affermano di averne limitato i consumi ma che invece non hanno sortito alcun risultato degno di nota».
(Foto di Guillaume TECHER su Unsplash)
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