Non serviva una pandemia per mettere in luce i tanti problemi del sistema sanitario italiano, ma diciamo che i difficili anni che abbiamo attraversato sono serviti a rendere ancora più evidenti le lacune. Ora i riflettori si sono spostati dalla salute alle tante altre questioni che agitano il nostro tempo, e di sanità si parla molto meno, anche se i problemi restano.

«Le famiglie italiane sono arrivate a spendere 1.700 euro l’anno per curarsi. Record europeo di spesa sanitaria privata», scriveva la Stampa lo scorso 10 marzo. Dai dati riportati nell’articolo si apprendeva che in Italia il 42 per cento dei medici lavora sia nel pubblico che nel privato. Il decreto legge 223 del 2006 stabilisce che, all’interno delle strutture pubbliche, le prestazioni fornite da liberi professionisti non debbano superare quelle fornite dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). Ma in moltissimi casi questo rapporto non è rispettato. L’articolo di Paolo Russo fa una lunga lista di esempi in cui le prestazioni erogate da liberi professionisti (quindi con spesa a carico del cittadino) in strutture pubbliche superano di molto (anche del doppio o del triplo) quelle garantite dal Ssn. Perché le persone scelgano di rivolgersi al privato è presto detto: le liste di attesa sempre più lunghe. Se per una Tac, una risonanza magnetica o una mammografia si arriva ad attendere anche uno o due anni nel pubblico, l’attesa scende a una o due settimane per la maggior parte dei servizi erogati in regime privato.

Il risultato è un aumento delle disuguaglianze tra chi può permettersi di pagare e chi invece deve aspettare o rinunciare, magari aggravando una situazione apparentemente non grave. Secondo i dati citati dalla Stampa, l’11 per cento delle persone rinuncia a visite o accertamenti per difficoltà economiche e di accesso ai servizi. Mentre, chi può, spende sempre di più.

Più nel dettaglio, «Nel confronto tra il 2022 e gli anni pregressi della pandemia, emerge un’inequivocabile barriera all’accesso costituita dalle lunghe liste di attesa, che nel 2022 diventa il motivo più frequente (il 4,2% della popolazione), a fronte di una riduzione della quota di chi rinuncia per motivi economici (era 4,9% nel 2019 e scende al 3,2% nel 2022)», ha spiegato Cristina Freguja, direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare dell’Istat, durante un’audizione in Commissione Affari Sociali e Sanità del Senato.

Il fatto che più persone tendano a rinunciare alle cure è testimoniato anche dal fatto che dopo la pandemia non c’è stato un recupero del numero di visite ed esami di controllo: «Nel 2022 – ha spiegato Freguja – le prestazioni sanitarie fruite sono, inoltre, più contenute rispetto al periodo pre-pandemico. Dalle indagini Istat sulla popolazione, si rileva infatti una riduzione – diffusa a tutte le ripartizioni – della quota di persone che ha effettuato visite specialistiche (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) o accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32,0%) – nel Mezzogiorno quest’ultima riduzione raggiunge i 5 punti percentuali».

Secondo l’ultimo rapporto Crea sanità, «nel 2021 col finanziamento pubblico del sistema, il nostro Paese copre il 75,6% della spesa sanitaria complessiva, molto meno della media dei Paesi Ue di riferimento, che arrivano all’82,9%».

Un dato che è aumentato è quello della cosiddetta “migrazione sanitaria”, ossia il fenomeno per cui le persone sono costrette a spostarsi per ricevere le cure di cui hanno bisogno. Dopo un netto calo nel 2020, dovuto alla pandemia, gli spostamenti sono ripresi progressivamente nel 2021 e 2022, come fa notare su Vita Stefano Gastaldi di CasAmica. Anche questo fenomeno mette in luce delle disuguaglianze, in particolare relative al fatto che i ricoveri interregionali sono cresciuti soprattutto in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, dove si concentrano più strutture, strumenti e professionalità.

Per quanto riguarda il personale medico, è noto che si tratti di un comparto sempre più anziano a causa di un mancato ricambio generazionale, soprattutto in alcuni settori: «Servirebbe assumere nei prossimi 10 anni, ogni anno, circa 15 mila medici e 30-40 mila infermieri ma il problema è trovarli, soprattutto quest’ultimi – ha spiegato al Corriere Barbara Polistena, direttrice scientifica di Crea Sanità –. Riguardo ai medici, la carenza riguarda soprattutto l’emergenza urgenza e la medicina del territorio: su quest’ultima si sta puntando col PNRR, peccato che manchi il personale. Il suggerimento? Non pensare che il problema si risolva aumentando i posti nelle scuole di specializzazione o togliendo il numero chiuso all’Università. Per aumentare il personale bisogna lavorare per incentivare le “vocazioni” e modificare le politiche del personale rendendo il sistema pubblico più attrattivo».

A questo si aggiunge il problema degli «??almeno mille medici che ogni anno scelgono di andare all’estero in cerca di stipendi più alti e possibilità di carriera maggiori».

(Foto di Towfiqu barbhuiya su Unsplash)

Col sangue si fanno un sacco di cose

Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.

Si comincia da qui