«Cultura, scuola, educazione e presidi sociali: è qui che bisogna prioritariamente concentrare l’attenzione e investire affinchè si riesca a prevenire i sempre più diffusi episodi di violenza, ma anche di disagio sociale, tra i giovanissimi. Le misure punitive da sole non bastano, né serve il loro inasprimento. Allo stesso tempo, però, bisogna essere consapevoli che la prevenzione necessita di politiche serie e di lungo termine, che facciano leva anche sul contributo che il Terzo settore dà e può continuare a dare alla costruzione di una socialità positiva, di relazioni sane e di senso».

Comincia così la dichiarazione firmata dalla portavoce del Forum Terzo Settore, Vanessa Pallucchi, in seguito alla firma di un decreto legge che ha introdotto misure per contrastare la criminalità minorile. Il commento si riferisce al fatto che le modifiche introdotte sono tutte di natura repressiva, mentre non fanno nulla per affrontare i problemi che stanno alla base dei reati, facendo tesoro delle esperienze positive, anche grazie al contributo del terzo settore.

«Spesso – prosegue Pallucchi – le realtà sociali sono rimaste le sole a operare sui territori più difficili, grazie anche al fondo nazionale per il contrasto alla povertà educativa minorile. È da queste esperienze consolidate, da strategie che già si sono mostrate efficaci, che bisogna partire. Se le attività del Terzo settore non sono sostenute dalle politiche pubbliche, a cui dovrebbero affiancarsi e non sostituirsi, il risultato, anche in termini di costruzione di strade alternative alla criminalità, non sarà mai sufficiente. Occorre invertire la marcia, e in fretta».

Allargando lo sguardo, non sorprende che di fronte a fatti di assoluta gravità, come quelli accaduti a Caivano (Napoli) a fine luglio, la reazione del governo sia stata la stessa avuta di fronte a tutte le emergenze (vere o presentate come tali) che si sono avvicendate negli ultimi mesi: inasprire le pene. Non è un atteggiamento proprio solamente dell’attuale maggioranza, sia chiaro. La tendenza a reagire in questo modo accomuna governi di ogni colore politico. Salvo che, se oggi siamo ancora qui a “inasprire pene”, vuol dire che gli inasprimenti di ieri non hanno funzionato. E quindi perché dovrebbero funzionare quelli di oggi?

«Aumentare le pene – ha scritto sul Foglio Giovanni Fiandaca – è un modo semplice per ottenere titoli dei giornali e per evitare di spendere tempo e risorse per una seria prevenzione che costa sacrificio e porta risultati non immediati. La scorciatoia è sempre la stessa: coprire con il populismo penale la propria incapacità di affrontare alla radice i mali sociali via via emergenti delegando di fatto al potere giudiziario il compito di trattarli secondo i paradigmi delle colpe e dei castighi individuali».

Lo stesso giornale, l’8 settembre, ha messo in fila gli aumenti di pena decisi fin qui dal governo. Sommando tutti gli anni aggiuntivi inflitti per vari reati (rave illegali, traffico di migranti, violenza di genere, contro il personale sanitario, contro quello scolastico, omicidio nautico, ecc.) si arriva a 92. Nel frattempo non risulta che si siano raggiunti risultati concreti nella lotta ai vari reati perseguiti. Di certo, però, si è raggiunto il risultato di “dare un segnale”. L’aumento delle pene non ha infatti costi immediati (ma ne ha eccome sul lungo periodo), è facile da comunicare e da comprendere, mette a tacere qualunque forma di dibattito (altrimenti si diventa automaticamente complici del reato perseguito). Peccato che non risolva i problemi.

Intervenire sulla giustizia minorile è questione delicata. Non andrebbe fatto in maniera muscolare, ma con tutte le precauzioni del caso. Peraltro il sistema giudiziario minorile italiano è molto apprezzato in Europa per il suo approccio rieducativo e per il carattere residuale riservato alla detenzione (sono pochissimi i minori in prigione: la maggior parte segue percorsi di reinserimento). Non vorremmo che la foga dell’inasprimento costasse lo smantellamento di un sistema che, per il momento, funziona bene.

(Foto di Markus Krisetya su Unsplash)

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