Il significato etimologico della parola “indennità” ha a che fare con il danno e con il suo risarcimento. Evidentemente, noi cittadini dobbiamo aver fatto un grosso torto alle nostre regioni per dover corrispondere ogni mese centinaia di migliaia di euro ai consiglieri. Che poi costoro, anche dopo eletti, restano pur sempre cittadini, quindi forse sono lì a farsi risarcire dal danno subito prima, quando erano solo italiani con diritto di elettorato passivo, come tutti siamo dopo i 18 anni. Non sono dubbi venuti dal caso, dalla notte insonne o dall’adagio (attribuito a Giulio Andreotti, che ci ha lasciati ieri) secondo cui a pensare male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina. Basta consultare le notizie di questi giorni, senza andare troppo indietro -piccola digressione: la nota mancanza di memoria storica degli italiani è probabilmente alimentata dal fatto che le notizie sono quasi sempre le stesse, sarà anche colpa di questo se viviamo una specie di “giorno della marmotta” continuo.

È di ieri l’articolo del Sole 24 Ore online, secondo cui in Lombardia c’è in preparazione un disegno di legge che da una parte taglierebbe le (cosiddette) indennità dei consiglieri, facendole però rientrare “dalla finestra” dei rimborsi. Le due voci andrebbero così a compensarsi e il risultato, guarda un po’, sarebbe sempre lo stesso: poco meno di 9mila euro al mese. Una proposta che arriva da un fronte compatto composto da Pd, Pdl e Lega. Gli unici a ricusare il testo sono stati gli esponenti del MoVimento 5 stelle, dei quali si può dire tutto (sull’inesperienza, sull’effettiva applicabilità delle proposte e sulla capacità di metterle in pratica), ma non che non siano gli unici, finora, ad aver agito in maniera coerente su questo aspetto dei costi della politica. In più possiamo aggiungere, senza temere di poter apparire schierati (e non lo siamo), che almeno gli M5S hanno dalla loro il beneficio del dubbio («saranno capaci di?»), mentre tutti gli altri affondano nella necessità di rifarsi una credibilità agli occhi dell’elettorato dopo che da anni dimostrano di «non essere capaci di».

Ma quindi, tornando alla questione iniziale, questa indennità quale danno dovrebbe compensare? Perché agli M5S bastano 5mila euro lordi e agli altri ne servono quasi il doppio? Non usano gli stessi mezzi pubblici? Non fanno benzina agli stessi distributori? Cosa rende la Lombardia una regione a doppia tariffa? Dopo gli scandali dell’anno scorso, quale altro pentolone dovrà essere scoperchiato, o in quali altre forme dovrà emergere il malcontento per una crisi che colpisce solo chi faceva già fatica, per fare sì che, se non altro, si diano tutti una calmata? Quante altre aziende dovranno chiudere per colpa dei crediti contratti con la pubblica amministrazione (come qualcuno faceva notare in questi giorni: un tempo le aziende fallivano per i debiti, ora per i crediti) per far capire una volta per tutte che la rendicontazione delle spese è un dovere e che solo quelle sostenute per attività politica vanno rimborsate? E la smettano di raccontarcela: cene da centinaia di euro non sono attività politica, sono un lusso sbattuto in faccia a chi non ce la fa più, ed è sempre meno disposto a sopportare. Anche qui, stiamo alle parole, come si fa a chiamarli “rimborsi” se non sappiamo a quali spese si riferiscono? Chiunque sostenga spese di lavoro deve conservare le ricevute per essere rimborsato dal proprio datore di lavoro, altrimenti restano a suo carico. Perché loro no? Ecco, ci siamo cascati, abbiamo iniziato a parlare di “noi” e “loro”, ed è questo il principio della fine di una comunità, quando inizia a crearsi una distanza sempre più profonda tra chi governa e chi è governato, chi vota e chi rappresenta il popolo, tra chi dà fiducia e chi, costantemente, la tradisce.