Il 20 settembre si è spenta l’editrice Inge Feltrinelli. Pubblichiamo di seguito il ricordo di Mario Andreose, dalla Domenica del Sole 24 Ore del 23 settembre.

La prima volta che ho visto Inge stava ballando: era al Jimmy Bar dell’Hessischer Hof, allora cuore pulsante della vita notturna della Buchmesse. Poi si è seduta al tavolo dove avevo riconosciuto solo l’editore Heinrich Maria Ledig-Rowohlt, di un’eleganza ricercata, sempre sorridente, che per Inge è stato, nonché un mentore, figura cruciale in alcuni snodi della sua vita. La sua immagine di allora, sulla pista da ballo, mi si sovrappone retroattivamente con quella del suo selfiecon Hemingway: una bellezza sfrontata, consapevolmente sensuale, che regge con le due mani un iperfallico marlin; quasi superflua la mano di Hemingway, seduto con l’aria soddisfatta di un pensionato. Oggi si sente la mancanza di una sua biografia, Carlo avrebbe preferito un’autobiografia, l’amica Isabel Allende avrebbe voluto scriverla lei ma ne fu subito dissuasa: Inge riteneva, forse, che della sua vicenda fosse sufficiente quello che emergeva dalle cronache, dalle interviste di cui era prodiga con giornalisti fidati. Ci teneva a ricordare di essere coetanea di Anna Frank per sottolineare la fortuna, il privilegio, senza alcun merito, di essere sfuggita ad analoga sorte.

La sua passione per la fotografia, l’istinto di sopravvivenza, la naturale dote della seduttività l’aiutano a barcamenarsi nel dopoguerra e a muovere i primi passi nel mondo delle riviste fotografiche, ma lei sa che solo un guizzo di creatività può fare la differenza, come quando coglie una Greta Garbo raffreddata con il fazzoletto in mano a un semaforo di Madison Avenue. O, meglio, quando l’amico Ledig-Rowohlt, editore tedesco di Hemingway, le procura un appuntamento a Cuba con lo scrittore in quel momento all’apice della fama. Saranno proprio le fotografie con Hemingway ad aprirle successivamente le porte di Picasso, Chagall, Simone de Beauvoir, Anna Magnani, Gérard Philip e altri. La svolta finale arriva per Inge in un momento di disorientamento, grazie al provvidenziale Ledig-Rowohlt che la invita, è l’estate del ’58, nella sede della casa editrice ad Amburgo, per un ricevimento in onore di un “miliardario comunista” italiano.

Inge ci ha raccontato che quello con Giangiacomo fu amore a prima vista, ancorché non precipitoso nelle modalità, preceduto da gaffesdi lei, timidezza e impaccio di lui, con la sorpresa che lei gli si rivolge in inglese e lui le risponde in un perfetto tedesco. Inge si trasferisce subito in Italia e nel ’60 si sposano. Per Giangiacomo è il terzo matrimonio, gli altri due vissuti non del tutto serenamente, ma soprattutto sterili, che non è cosa da poco in ambito dinastico dei Feltrinelli a corto di eredi. Così che la gravidanza di Inge passò tutt’altro che inosservata; ci fu persino un sorprendente pezzo di Gianni Brera che, dimentico per un momento delle imprese degli amati “prestipedatori”, celebrò in termini assai coloriti l’inseminazione della nuova sposa. L’ingresso di Inge, a fianco di Giangiacomo, avviene nel modo più naturale e festoso, con una sua subita iniezione di entusiasmo e fervore organizzativo. Alla Feltrinelli è di casa il Gruppo 47 (ispiratore del nostrano Gruppo 63): Günter Grass, Friedrich Dürenmatt, Uwe Johnson autori acquisiti e altri, come Ingeborg Bachmann e Hans Magnus Enzensberger pubblicati altrove, entrano nel sodalizio germanico di Inge. Nel ’64 accompagna Giangiacomo all’Avana per tentare di sbloccare uno dei progetti più ambiziosi a lungo in stand by: le Memorie di Fidel Castro. È ancora una stagione felice, questa, per la Feltrinelli. Non si è ancor spenta l’eco del successo internazionale di Pasternak e Tomasi di Lampedusa a cui si aggiungono, Max Frisch, Gabriel Garcia Marquez, Mario Vargas Llosa, Karen Blixen, Henry Miller, Doris Lessing tra gli altri.

A mano a mano si aprono nuove librerie Feltrinelli nel centro di città grandi e piccole che diventano punto di riferimento per la vita culturale. Ma sul più bello, si potrebbe dire, Giangiacomo inizia a eclissarsi dalla casa editrice fino a scomparire tragicamente nel ’72. È il momento più buio che Inge si trova ad affrontare, a capo di un’azienda il cui solo nome genera nell’opinione pubblica oscure affinità con il pesante clima politico in cui versa il paese. L’aumento del prezzo del petrolio, e quindi della cellulosa riduce i margini dell’editoria e dà l’avvio al processo di dismissione dei fondatori eponimi delle storiche case editrici a favore di una nuova classe finanziaria e manageriale. Si tratta di stringere i denti, di compiere qualche sacrificio. Inge ha la fortuna di trovare in Tomàs Maldonado un compagno per la vita e una figura di riferimento per la crescita di Carlo. Un punto strategico per la ripresa è investire in nuove librerie, punto di coagulo degli intellettuali progressisti disorientati dalle recenti derive della sinistra. E poi nuovi autori che a mano a mano arrivano, come Marguerite Duras, Isabel Allende, Manuel Vàzquez Montalbàn, Amos Oz, Daniel Pennac, Banana Yoshimoto, Richard Ford, Antonio Tabucchi, Alessandro Baricco, Michele Serra…

A Francoforte, senza perderne uno, ritorna non cambiata, nel piglio, nei colori, ma da protagonista, da editore donna. Il suo dinamismo la rende quasi ubiqua: è facile trovarla al Flore a Parigi all’epoca del Salon du Livre; a Roma, in via del Babuino, dove ha un pied-à-terresopra la libreria Feltrinelli. Come a Stendhal, le si potrebbe affibbiare l’etichetta di “milanese”, tanto era integrata, senza confini di bottega, dell’arte, del teatro, della musica, dell’architettura, della moda (stupefacente la sua conoscenza degli stilisti e delle griffes, non solo perché ne era una consumatrice compulsiva). Credo che la fase più bella della sua vita sia stata quando, cresciuto Carlo, ha capito che avrebbe potuto proseguire con lui il percorso di consolidamento del Gruppo Feltrinelli, orgogliosa del raro privilegio di averne conservato in famiglia la proprietà.

(Foto di Giulia van Pelt su flickr)