La campagna #Inmyplace (“Al mio posto”), lanciata dalla Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), invita a fare propria la storia di una persona con disabilità e diffonderla sui propri canali di comunicazione. In questo modo, nelle intenzioni di chi ha lanciato l’iniziativa, «avremo iniziato insieme a demolire la barriera più grande: la paura del contagio, della vicinanza, dello scambio».
La prima fase di #Inmyplace è consistita nel raccogliere le testimonianze. Tante storie, scritte in forma sintetica, d’impatto, per raccontare le piccole esperienze quotidiane che assieme descrivono un grande problema. La seconda fase, iniziata in questi giorni, mira a condividere più storie possibili, raggiungendo il pubblico più vasto. L’idea è di spostare l’asse del punto di vista e “adottare” la storia che viene condivisa, calandosi nei panni dell’altro e provando a capire cosa voglia dire fare i conti ogni giorno con la disabilità. Che poi spesso non è quest’ultima in sé a causare problemi e sofferenza, bensì il fatto che la società in cui viviamo si sia strutturata secondo un principio in cui la “normalità” è il parametro cui tutti devono adeguarsi, mentre la disabilità è un’anomalia che ancora non siamo in grado di ad accogliere (per approfondire l’argomento rimandiamo al post di Alessandra Sarchi che abbiamo pubblicato lunedì).
L’idea è interessante e quindi la facciamo nostra, dando un contributo alla sensibilizzazione verso il problema (cosa che comunque facciamo con una certa continuità attraverso i nostri articoli), in modo da arrivare pronti al 3 dicembre, Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità. Tra i vari problemi ancora irrisolti c’è per esempio quello abitativo: «Sono affetto da distrofia muscolare – scrive Sebastiano, 39 anni, di La Morra (Cuneo) –. La barriera più inquietante che affronto è riuscire a trovare una casa accessibile dove poter vivere e sposarmi con la mia ragazza, anche lei disabile. Un sogno che diventa un incubo: le norme che impongono l’accessibilità dei condomini non sono ancora rispettate».
Spesso ci dimentichiamo che anche le operazioni più semplici diventano imprese superabili a costo di grande impegno e massicce dosi di frustrazione. Per esempio, banalmente, recarsi in Comune a rifare il documento d’identità, se sei disabile, può essere «un percorso a ostacoli e due volte costoso – scrive Federica, 36, di Manoppello (Pescara) –. Devi andare dal fotografo perché le macchinette automatiche non sono accessibili. Incontri barriere di ogni tipo negli uffici pubblici. Hai sempre bisogno di qualcuno che ti accompagni, e devi quindi stare ai suoi tempi». Grande amarezza e un alone di rabbia nelle parole di Riccardo, 28 anni, di Cassine (Alessandria), che non riesce a soddisfare la propria sete di cultura: «Sono distrofico. Sono appassionato di storia e cultura ma la barriera più grande da superare è accedere ai luoghi dove si tengono conferenze, convegni, incontri. Credo che molte persone ritengano che ai disabili non interessi la cultura, l’arte, la storia. Che siano solo dei malati privi di interessi».
Con un po’ d’ironia Mario, 45 anni di Monticelli D’Ongina (Piacenza), lancia una sfida e promette una ricompensa a chi saprà vincerla: «Entrate in Monticelli D’Ongina. Parcheggiate l’auto che dovete usare per spostarvi. Tirate fuori la carrozzina saliteci sopra e provate vivere normalmente e in autonomia. Se ci riuscite vi applaudirò. E se riuscirete ad usare un mezzo di trasporto pubblico vi pagherò anche il pranzo». Sono solo alcune delle storie che potete trovare nella pagina relativa del sito della campagna. Vi invitiamo a scorrere la lunghissima lista e leggerne altre, aiuta a farsi un’idea di cosa voglia dire convivere con la disabilità, ma soprattutto con una civiltà in forte ritardo sul modo in cui affrontarla. Per usare una battuta tristemente legata alla realtà, viene da dire che molto spesso l’ignoranza e la maleducazione portano alcuni automobilisti a “prendere il posto” del disabile nel senso più letterale del termine, ossia occupando i posti riservati ai mezzi di chi ha problemi motori. Un malcostume duro a morire, nonostante le campagne di educazione civica che negli anni si sono fatte.
Talvolta però i problemi non arrivano da cittadini maleducati, bensì dalla pubblica amministrazione e dalla sua lentezza. «È ormai quasi un anno che è arrivata l’ordinanza che mi concede un parcheggio riservato – scrive Francesco, 60 anni –, ma al Comune di Catanzaro non hanno i soldi per fare le strisce. Abitando in centro non riusciamo a trovare parcheggio. Liti e multe continue… Non sappiamo più a chi rivolgerci». Speriamo che qualcuno in Comune “prenda il posto” di Francesco e faccia il possibile affinché si possa dare seguito all’ordinanza. Che poi, si tratta di quattro strisce sull’asfalto, possibile impiegare un anno per (non) dipingerle?