In Italia si fa presto a parlare di “legge-bavaglio”, non appena la politica mette le mani sulle norme che regolano la pubblicabilità delle intercettazioni. È successo di nuovo in questi giorni, ma forse è ancora presto per stabilire quale sarà l’esito della discussione, la cui decisione definitiva è stata delegata al governo. Non si tratta di una “delega in bianco”, perché la maggioranza che ha approvato la legge (che comunque deve ancora passare dalla votazione in Senato) ha stabilito delle linee guida di cui l’esecutivo dovrà tenere conto nell’emanare a sua volta un provvedimento. «Dopo il voto finale – spiega il Post –, il ministro della Giustizia nominerà una commissione ministeriale di magistrati, avvocati e giornalisti per cominciare a scrivere le nuove regole. […] La delega del governo dovrà vietare la pubblicazione di “comunicazioni non rilevanti a fini di giustizia penale” e tutelare “la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento”. Inoltre dovrà prevedere “che chiunque diffonda, al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, riprese o registrazioni di conversazioni svolte in sua presenza e fraudolentemente effettuate” sia “punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”».

In questo ambito si scontrano da sempre due visioni contrastanti, sulle quali è difficile esprimersi nettamente perché entrambe contengono elementi di ragionevolezza. La prima è sostenuta da Riccardo Arena, che scrive sul suo blog: «Le intercettazioni servono per la prosecuzione delle indagini preliminari e non servono per l’informazione. In sintesi: l’atto delle intercettazioni, come il verbale delle perquisizioni, serve alla giustizia e non al diritto di cronaca». Per sostenere la sua posizione, Arena cita l’articolo 15 della Costituzione («La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge») e l’articolo 267 del Codice di procedura penale. «Non a caso – prosegue Arena –, già oggi la legge vieta la pubblicazione di qualsiasi atto di indagine, comprese le intercettazioni (vd. articolo 684 c.p. e 114 c.p.p.). Divieto che però viene quotidianamente ignorato perché manca una sanzione efficace, tanto da determinare il legislatore a intervenire».

La legge “imbavaglia” già ora le redazioni, prevedendo il reato di pubblicazione di atti giudiziari, ma non stabilisce una pena che faccia da deterrente contro la sua violazione. «Dunque, non una “legge bavaglio”, ma casomai un tentativo per arginare la gogna mediatica, il gossip giudiziario, la macchina del fango». Arena, entrando nel merito della legge, trova comunque che sia poco convincente e troppo timida nel ridefinire il divieto di pubblicazione.

Dall’altro lato della barricata la posizione sostenuta da Vladimiro Zagrebelsky. Egli sostiene che «Ogni divieto di pubblicazione dell’esito delle intercettazioni legittimamente disposte dal magistrato deve confrontarsi con l’obbligo di non interferire con il diritto di dare e di ricevere la maggior informazione possibile su fatti di interesse pubblico. […] E i fatti di interesse pubblico non sono solo quelli che riguardano gli indagati nel processo penale o che sono penalmente rilevanti, come invece si è preso a dire come fosse ovvio. Non è vero e eccessi e abusi nelle pubblicazioni non dovrebbero consentire soluzioni che impediscano l’uscita di notizie utili, anche se scomode. Spesso vediamo fare scandalo la pubblicazione di certi fatti, piuttosto che i fatti stessi». Difficile, si diceva, schierarsi nettamente con l’una o l’altra scuola di pensiero.

Se guardiamo alla prassi, bisogna dire che spesso il giornalismo italiano ha abusato di intercettazioni di fatti non penalmente rilevanti per screditare apertamente alcuni personaggi noti e non particolarmente simpatici all’editore (si vedano le numerose intercettazioni sulla vita privata di Silvio Berlusconi negli anni in cui era presidente del Consiglio). Ultimamente, poi, il caso del governatore della Sicilia Rosario Crocetta ha mostrato quanto fuorviante possa essere attribuire frasi a qualcuno sulla base di intercettazioni (c’è un’indagine in corso per capire se gli autori dell’articolo hanno effettuato le opportune verifiche prima di pubblicarle).

Più spesso, invece, le intercettazioni si sono rivelate strumenti utili per portare a termine indagini, come nel caso di “Calciopoli”. In quei casi, soprattutto se l’indagine è ancora in corso, la pubblicazione potrebbe intralciare il lavoro della magistratura. Occorre fare una scelta: è più importante il mostro in prima pagina o l’accertamento di un reato?

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