I nostri interessi sono qualcosa di fisso, che dobbiamo solo “scoprire”, o sono qualcosa che cambia nel tempo, a cui dobbiamo prestare attenzione con maggiore flessibilità? È ciò che hanno cercato di capire alcuni ricercatori dell’università di Stanford (California), scoprendo che la risposta che ognuno si dà influenza profondamente il modo in cui ci si relaziona con le scelte della vita che hanno a che fare con i nostri ambiti di interesse (o le nostre “passioni”, come spesso si dice). Soprattutto in una certa fase della vita (tipicamente verso la fine della scuola dell’obbligo, o dell’università), capita che qualcuno ci spinga a scoprire qual è la nostra vera passione: trovare l’interesse verso cui investire tutte le energie, il campo d’azione verso il quale, sacrificando tutti gli altri, dedicheremo la maggior parte del tempo per il resto dei nostri giorni.
Dalla ricerca, che si è articolata in cinque diversi esperimenti e ha coinvolto 470 partecipanti, si è evinto che un’impostazione “fissa” (detta fixed mindset) rispetto agli interessi porta a trascurare argomenti che stanno al di fuori della propria area d’elezione, precludendosi la possibilità di ampliare il proprio bacino di conoscenze ed esperienze. Inoltre, una mentalità fissa porta a scoraggiarsi più facilmente di fronte alle difficoltà rispetto a una più flessibile (detta growth mindset). Per chi ha un fixed mindset, il fatto di “trovare la propria passione” suggerisce che questo fornirà una disponibilità illimitata di motivazione, rendendo il perseguimento di tale interesse un compito tutto sommato semplice. Quelli che hanno un growth mindset sono invece più propensi ad aspettarsi che coltivare seriamente un interesse possa essere talvolta impegnativo, e più difficilmente si scoraggiano quando le cose si fanno difficili. Una persona dalla mentalità fissa porta con sé la convinzione che perseguire il suo interesse più profondo sarà un processo facile e privo d’intoppi. Così, quando le difficoltà si presentano, tende ad associarle al fatto che probabilmente quella materia non è realmente di suo interesse, e quindi l’abbandona.
Si può fare un parallelo con le relazioni sentimentali (sono gli stessi ricercatori a suggerirlo): le persone tendono a distinguersi tra coloro che credono che gli incontri avvengano “per destino”, oppure che la relazione vada coltivata. I primi sono quelli perennemente in attesa dell’“anima gemella”, e di fronte agli inevitabili problemi della relazione tendono a interromperla, dicendosi che “non era la persona giusta”. Per coloro che vedono la coppia come un rapporto in continua evoluzione e costruzione, le relazioni tendono a durare e le difficoltà vengono affrontate e risolte man mano che si presentano. Diciamo che il rapporto che ognuno di noi ha verso i propri interessi personali si può dividere nelle stesse due categorie, e porta a risultati simili.
Il growth mindset mostra di avere ricadute positive sotto diversi punti di vista. «I progressi nella scienza e i successi nel business avvengono quando qualcuno riesce a far dialogare materie differenti – ha detto Gregory Walton, uno dei ricercatori coinvolti nel progetto –; quando le persone vedono nuove connessioni tra campi lontani, che nessuno aveva mai visto prima».
Un aspetto fondamentale da tenere presente è che in fin dei conti trovare e coltivare i propri interessi ha molto a che fare col modo in cui ci immaginiamo il nostro futuro: «I miei studenti, all’inizio, strabuzzano gli occhi di fronte all’idea di dover trovare la propria passione – ha detto Carol Dweck, altra accademica che ha condotto lo studio –. Ma poi diventano sempre più entusiasti di sviluppare la propria passione e immaginare dove li porterà. Col tempo capiscono che si tratta di immaginare il loro stesso futuro, e il modo in cui il loro impegno e il loro lavoro sarà in grado di dare un contributo costruttivo».
(Foto di Kalen Emsley su Unsplash)