Nei giorni scorsi è stata annunciata la sospensione della sperimentazione su un farmaco per la cura dell’Alzheimer, l’aducanumab. Le aziende farmaceutiche che lo stavano testando (su esseri umani, quindi in una fase già avanzata della sperimentazione) hanno pubblicato un comunicato congiunto in cui sostanzialmente dicono che i risultati non erano abbastanza promettenti da giustificare il proseguimento degli studi.
L’aducanumab rimuove le placche, ma non i sintomi dell’Alzheimer
L’aducanumab, come altri farmaci considerati promettenti nella ricerca contro questa complessa patologia, agiva sulla betamiloide, una proteina responsabile dell’accumulo di placche nei neuroni, che ne compromettono il funzionamento. Dagli studi fatti, il farmaco dimostrava di essere piuttosto efficace nel rimuovere le placche, ma questo non dava riscontri significativi dal punto di vista dei sintomi della malattia. Questo potrebbe voler dire, secondo i ricercatori, che la comparsa delle placche sia la manifestazione di un problema che comincia molto prima. La sfida è dunque spostare “indietro nel tempo” il raggio d’intervento, lavorando più sulla prevenzione che sulla cura. E forse bisognerà spostare anche il target su un’altra proteina, la “tau” – su cui già si sta sperimentando – cercando di arrivare a un farmaco che intervenga in maniera integrata sia su quest’ultima che sulla betamiloide. Il Time riporta la reazione di un uomo, Peter Wooding, un pensionato statunitense a cui è stato diagnosticato l’Alzheimer nel 2016. Wooding ha ricevuto iniezioni mensili per un anno e mezzo, ma senza sapere se dentro la provetta ci fosse il farmaco oppure il placebo. Alla fine dei 18 mesi, a tutti i pazienti sarebbe stato infuso il farmaco, ma il trattamento di Wooding si è interrotto appena prima, lasciandolo nel dubbio e nello sconforto. «Non è che la betamiloide non abbia un ruolo nell’Alzheimer – ha detto Ronald Petersen, direttore del Mayo Clinic Alzheimer’s Disease Research Center –. Ma è un obiettivo curabile e trattabile? È questa la domanda più difficile».
Altre ricerche in corso contro l’Alzheimer
Il Post spiega quali altre linee di ricerca sono in corso per curare la malattia. «Un test, che sarà concluso nel 2020, sta sperimentando il solanezumab nelle persone con accumuli di placche amiloidi, riscontrati tramite risonanza magnetica, ma che ancora non hanno prodotto sintomi come la perdita di memoria. Le nuove difficoltà con l’aducanumab stanno comunque portando diversi ricercatori a chiedersi se si debba cambiare strategia, esplorando nuove possibilità per contrastare il morbo di Alzheimer. Sono del resto già in corso da tempo ricerche e sperimentazioni su altri principi attivi, orientati verso altri obiettivi come una proteina (“tau”) la cui presenza è ricorrente nei neuroni di chi soffre di demenza degenerativa.Nonostante gli ultimi fallimenti, tutte le principali aziende farmaceutiche continuano a lavorare sulla betamiloide. Ogni anno sono investiti centinaia di milioni di euro per sviluppare e testare nuove molecole, alla ricerca dei candidati più promettenti per ottenere farmaci di nuova generazione davvero efficaci contro il morbo di Alzheimer».
Quando e come si manifesta l’Alzheimer
L’Alzheimer si manifesta solitamente dopo i 65 anni, ma può presentarsi anche prima. Il primo sintomo è la difficoltà a ricordare eventi recenti. Col tempo si possono sviluppare problemi nel parlare, disorientamento, improvvisi cambiamenti di umore, depressione, incapacità a prendersi cura di sé. L’aspettativa di vita media dopo la diagnosi va dai tre ai nove anni. Secondo un report dell’Organizzazione mondiale della salute (Oms), circa 50 milioni di persone nel mondo soffrono di qualche forma di demenza, e nel 60-70 per cento dei casi si tratta di pazienti affetti da Alzheimer.
Attenzione: le informazioni contenute in questo articolo non costituiscono consigli medici. È sempre opportuno consultare il proprio medico di base per qualsiasi chiarimento in merito alla propria salute.