Nel 2065 la popolazione italiana sarà mediamente più anziana, e inoltre saremo sei milioni in meno di oggi. Sono le previsioni emerse da uno studio dell’Istat che ha stilato una previsione di come potrebbero evolvere i principali trend demografici nazionali. Un dato interessante è che il “depopolamento” non seguirà un andamento uniforme sul territorio, ma sarà invece decisamente sbilanciato verso un Sud da cui sempre più cittadini emigrano e un Nord che invece incrementa la sua popolazione. «La probabilità empirica che la popolazione del Centro-nord abbia nel 2065 una popolazione più ampia rispetto a oggi supera il 30 per cento mentre nel Mezzogiorno è nulla. […] Nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71 per cento di residenti contro il 66 per cento di oggi; il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29 per cento contro il 34 per cento attuale».

A compensare questo saldo negativo saranno prevedibilmente gli arrivi di stranieri, che da qui all’anno di riferimento dovrebbero aumentare di circa 2,6 milioni. Si tratta ovviamente di dati che possono variare sensibilmente, perché legati ad avvenimenti talvolta imprevedibili. I modelli statistici offrono però un quadro che può essere interessante analizzare. Se ne occupa tra gli altri il sociologo Vittorio Filippi su Ytali, riepilogando i dati principali dello studio e confrontandoli con quelli del passato: «Se nel 1964 toccammo il picco delle nascite superando il milione di nati – e comunque dal 1959 al 1971 le nascite volarono sempre sopra le novecentomila all’anno – nei prossimi lustri arriveranno all’età anziana proprio le numerose coorti nate in quegli anni generosamente (ed eccezionalmente) prolifici. Per cui, prevede l’Istat, il picco dell’invecchiamento – in pratica il rimbalzo temporale del periodo del baby boom– sarà attorno alla metà del secolo, quando gli ultrasessantacinquenni arriveranno a essere il trentaquattro per cento della popolazione italiana, mentre il 2058 dovrebbe segnare il numero massimo (ma fisiologico) di decessi».

Ad aumentare, oltre all’età media (che dagli attuali circa 45 anni dovrebbe arrivare a 50), anche la speranza di vita, destinata a crescere di circa cinque anni. Nel 2065 ogni uomo nato avrà come prospettiva di vita l’età di 86 anni, mentre le donne circa 90. Per quanto riguarda la riduzione di popolazione, la tendenza al ribasso non è una novità, spiega Filippi: «L’Italia perderebbe da qui al 2065 circa sei milioni e mezzo di cittadini arrivando cioè ad avere una popolazione di 54 milioni di abitanti, un numero che ebbe nei primi anni settanta. D’altronde, il saldo naturale è negativo fin dal 1993. Sarà uno spopolamento disuguale, dato che il Mezzogiorno conoscerà un tracollo di cinque milioni di abitanti frutto del combinarsi perverso di bassa fecondità, modesta immigrazione straniera e flussi emigratori verso il centro-nord o l’estero. Così tra dieci anni la regione più giovane d’Italia non sarà più la Campania ma il Trentino».

Si conferma così, nel caso ce ne fosse bisogno, la necessità di trovare una via di sviluppo per il Sud Italia che possa se non altro arginare la fuga. Ma è un cane che si morde la coda: se tanti giovani se ne vanno, su chi si dovrebbe basare la ripresa? Una politica di finanziamenti e iniziative per lo sviluppo non è sufficiente se la società civile non è sufficientemente vivace. Non basteranno dunque gli immigrati a scongiurare la riduzione di popolazione e il suo invecchiamento: «Anche se l’immigrazione dovrebbe comportare 2,6 milioni di abitanti in più nel periodo considerato, è evidente che ciò non muta le tendenze profonde dell’invecchiamento e dello spopolamento del paese. Il fatto strutturale è che dagli anni novanta il numero delle donne nate in ciascun anno è tra le 200 e le 250 mila e non si può certo immaginare che oggi si raggiungano i quattro figli a coppia per ritornare alla prospera fecondità degli anni sessanta. Solo negli ultimi dieci anni le madri potenziali (cioè tra i 15 e i 45 anni) sono calate del dieci per cento, il tasso di fecondità del sei e quello delle donne straniere del quindici».

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