I popoli del Nord, si sa, sono meno chiassosi di noi mediterranei. Sarà per questo, forse (e si tratta ovviamente di una provocazione), che la rivoluzione “gentile” islandese non ha fatto notizia dalle nostre parti. Nel 2008, l’isola visse un momento di crisi finanziaria profonda, in cui furono nazionalizzate le tre principali banche -e soprattutto i loro debiti-, la corona perse l’85 per cento del suo valore rispetto all’euro e il Paese fu dichiarato in bancarotta. A gennaio dell’anno successivo, le proteste dei cittadini indussero il governo alle dimissioni (primo e unico caso dall’inizio della crisi), e si andò a elezioni anticipate. Il Parlamento propose una legge per il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento, da parte dei cittadini, di 3,5 miliardi, con un esborso mensile per le famiglie di circa cento euro per quindici anni. Di fronte a questa proposta, la gente tornò in piazza a chiedere di sottoporre a referendum la legge. Questo si tenne a marzo di quest’anno, e i “no” vinsero con uno schiacciante 93 per cento. Nel frattempo, il Governo dispose l’avvio di inchieste per determinare le responsabilità civili e penali della crisi. Furono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo. Risultato: tutti i banchieri implicati abbandonarono l’isola. Il processo democratico non si arrestò e venne eletta un’assemblea costituente -composta da 25 cittadini, liberi da affiliazione politica, eletti da una lista di 522 candidati- per approvare una nuova carta costituzionale. (Gli unici due vincoli per la candidatura, a parte quello di essere liberi dalla tessera di qualsiasi partito, erano quelli di essere maggiorenni e di disporre delle firme di almeno 30 sostenitori.) Il progetto è ancora in corso e la “Magna Carta” dovrà essere sottoposta all’approvazione del Parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni legislative.
Questi i fatti. Potranno piacere o non piacere, qualcuno potrà trovarla una storia interessante, un esempio da seguire o meno. Va detto che stiamo parlando di un Paese con 310mila abitanti e una densità di 3 abitanti per chilometro quadrato (contro i nostri 200), quindi di una vicenda non riproducibile negli stessi termini in altri contesti europei. Ma, ci chiediamo, perché nascondere per intero (o quasi) la vicenda? Ben vengano internet, la blogosfera e il social networking, se ci possono salvare dal silenzio (camuffato in rumore) dei media tradizionali. Omettendo una notizia del genere i nostri principali mezzi d’informazione hanno dimostrato di non aver perso il loro intento pedagogico: alcune cose si possono raccontare al cittadino medio (cronaca nera, gossip d’ogni tipo, soprattutto politico, ecc.), altre è meglio nasconderle, potrebbe non capire. Anzi, peggio ancora, potrebbe finalmente capire alcune cose. Come le affermazioni di Carlo Lottieri, economista, quando dice che «nella sua essenza, l’Unione europea è una diluzione della responsabilità […] Stiamo diventando una famiglia composta da 27 persone, con un unico conto corrente e 27 bancomat. Qualcuno può davvero credere che la cosa possa reggere? […] Quella che stiamo conoscendo è la fine di un’epoca che ha visto gli Stati comprare consenso con la spesa pubblica e dilatare in modo illimitato il proprio controllo sulla società. Se non si prende atto di ciò, si è destinati a restare seppelliti dalle macerie causate dai debiti sovrani».