La tristemente nota affermazione secondo cui “con la cultura non si mangia” sta conoscendo un’ulteriore declinazione in questo arido periodo di crisi. La formula che prende le mosse da questo adagio vuole infatti che «con la laurea non si trova lavoro, meglio fermarsi al diploma». La blogger e coordinatrice della laurea triennale in Scienze della comunicazione di Bologna, Giovanna Cosenza, ha ripreso da una conversazione tra il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il direttore di AlmaLaurea Andrea Cammelli tre punti sintetici che riassumono i motivi per cui, allo stato attuale, tale frase è smentita dai fatti. Eccoli di seguito:

Punto primo: «L’Istat rileva che, fino ad oggi, nell’intero arco della vita lavorativa, i laureati hanno presentato un tasso di occupazione di oltre 12 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (76,6 contro 64,2 per cento) [ultimo dato disponibile relativo al 2012]».

Punto secondo: «Il nostro Paese, a partire da una spesa per l’istruzione e la ricerca universitaria decisamente inferiore alla media Ocse ed europea, negli ultimi anni è stato tra i pochi ad averla ulteriormente ridotta in misura sensibile. Eppure in Italia, nel 2011, la percentuale di laureati di 30-34 anni sul complesso della popolazione è pari al 20,3 per cento; una quota ancora molto distante dagli obiettivi europei fissati per il 2020 (40 per cento) e dalla media Ue (34,6 per cento)».

Punto terzo: «Il ritardo che il nostro Paese registra nei livelli di scolarizzazione più elevati si riflette significativamente sui livelli di istruzione della classe manageriale e dirigente italiana. I dati Eurostat segnalano, ad esempio, che nel 2010 ben il 37 per cento degli occupati italiani classificati come manager aveva completato tutt’al più la scuola dell’obbligo, contro il 19 per cento della media europea a 15 paesi e il 7 per cento della Germania».

Tre ragioni sufficienti a rendere deprecabile ogni invito a non proseguire la scolarizzazione con studi di alto livello. Siamo un Paese dove ai livelli più alti di enti e aziende è più probabile trovare qualcuno che si è fatto da sé piuttosto che una persona che ha approfondito le proprie conoscenze sui banchi dell’università per poi integrarle con l’esperienza lavorativa diretta. Certo, in questo modo si apre il fianco a osservazioni del tipo «chi dice che avere più laureati in giro sia necessariamente un vantaggio?». Guardando il problema da un altro punto di vista, pensiamo che avere più competenze nel mondo lavorativo sia necessariamente un vantaggio.

Con tutto il rispetto per chi si è costruito le proprie direttamente sul campo, e al contrario biasimando chi si è “comprato” un titolo fatto solo di parole e marche da bollo ma privo di reali conoscenze, siamo convinti che le università siano luoghi fondamentali in cui formare menti in grado di pensare e interpretare il futuro di questo Paese. Il lavoro ha la sua importanza e mettere qualcosa sotto i denti è la prima priorità per tutti, ma demotivare una generazione che tra mille difficoltà cerca un ruolo in una società bloccata e priva di slancio è un’azione irresponsabile. Anzi, lo Stato dovrebbe aiutare maggiormente i giovani che vogliono studiare, trovando il modo di abbassare le rette universitarie delle università pubbliche, stanziando maggiori fondi per borse di studio. Il 29 ottobre ricorreva l’anniversario della fondazione della Olivetti (1908), un’azienda che per decenni è stata all’avanguardia nei prodotti e nel rapporto tra impresa e lavoratori. Un modello studiato e ammirato ancora oggi. Chissà se sarebbe così se al giovane Camillo Olivetti avessereo detto «lascia stare gli studi, cercati subito un lavoro».

Venerdì 1 novembre il blog non sarà aggiornato. Buona festa di Ognissanti a tutti.