Forse l’avete notato anche voi, ma ultimamente l’Italia va bene in molti sport. Il successo più recente è arrivato dal tennis, con la vittoria della coppa Davis dopo 47 anni dalla precedente. Ma lo stesso sta succedendo con l’atletica. Ricorderete forse l’inattesa vittoria di Marcell Jacobs nei 100 metri e i due ori vinti da Gianmarco Tamberi nel salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021. Più di recente ci sono stati i Mondiali di atletica, in cui l’Italia ha ottenuto il suo risultato migliore da 24 anni a questa parte. La vittoria agli Europei di calcio maschile è del 2021. Aggiungiamoci anche il baseball, sport minore in cui l’Italia non ha mai brillato a livello internazionale, ma in cui quest’anno è stata capace di raggiungere i quarti di finale ai Mondiali, arrendendosi solo al Giappone, che poi avrebbe vinto il torneo contro gli Stati Uniti.

Approfondendo le storie di ciascuna disciplina, si nota che questi risultati non sono arrivati per caso. A livello mediatico è sempre il singolo a prendersi la scena, com’è successo appunto con i vari Jacobs, Tamberi, ma anche Antonella Palmisano con la marcia e ovviamente Jannik Sinner nel tennis. Ma dietro a questi nomi ci sono squadre, strutture, manager, ecc.

«Questa vittoria è un percorso partito da molto lontano», ha detto Filippo Volandri, direttore tecnico della nazionale dal 2018 e colui che ha guidato la squadra alla vittoria poche settimane fa. Più in generale, Angelo Carotenuto su Domani spiega più nel dettaglio cosa è successo al tennis italiano negli ultimi anni: «Una sterzata nei rapporti con i circoli privati. Si è chiusa l’era dei finanziamenti a pioggia. I contributi sono andati a sostenere i giocatori più promettenti. È caduto il dogma dell’intoccabilità di Tirrenia, il vecchio centro federale dove talenti acerbi erano sradicati dalle loro realtà e spesso si perdevano. I tecnici della federazione hanno iniziato un percorso di condivisione di esperienze con i maestri locali. Li hanno invitati a essere più internazionali, anziché ritirarsi nei circoli sotto casa per 2mila euro al mese. Le scuole tennis sono passate da 1.200 a 2.000. Esistono quasi 150 centri di aggregazione provinciale, dove la politica del decentramento organizza raduni sistematici per bambini sotto i 10 anni. Sono guidati allo studio dell’inglese e gli viene insegnato a dare un nome alle emozioni che provano giocando: per saperle riconoscere, gestire e dominare».

Come avrete notato, difficilmente parliamo di sport su ZeroNegativo. Nessun pregiudizio, ma il ventaglio di temi che trattiamo è già abbastanza ampio, non riusciamo a occuparci di tutto. Però questa serie di eventi ci è sembrata interessante perché sembra costruire una narrazione a cui non siamo abituati. Quella dell’Italia come paese in grado, almeno in certi settori e in certi casi, di organizzarsi: di attrarre professionalità di alto livello, di darsi degli obiettivi, di rinnovarsi, di cambiare, di raccogliere risorse e metterle a frutto nel migliore dei modi.

Sarebbe bello che tutto questo non fosse confinato allo sport. Non per sminuire quest’ultimo, che non è solo intrattenimento ma anche fonte di lavoro e ricchezza per migliaia di persone, e talvolta sa anche produrre socialità e valori positivi. Pensate però se anche altri ambiti della nostra società fossero vissuti e gestiti con la stessa freschezza e determinazione.

Avremmo servizi più efficienti e accessibili per tutti, a partire dalla sanità, tanto per cominciare. Un’offerta culturale maggiore e in grado di raggiungere più persone. Una scuola che funziona e in cui l’abbandono è minimo. Maggiore produttività e meno burocrazia. Un sistema penale che reintegra invece di limitarsi a punire e maltrattare i detenuti, producendo nuova criminalità. Avremmo forse una società meno patriarcale. Meno paura degli immigrati e più piani per favorire l’integrazione, anche per contrastare il calo demografico. Ma forse non avremmo nemmeno il calo demografico, se fossimo tutti un po’ più felici di come vanno le cose.

Magari è solo una fantasia, un’allucinazione. Ma forse invece dovremmo cercare di prendere spunto dalla capacità di alcuni settori dello sport di reinventarsi nel giro di pochi anni. Creare le condizioni affinché la stessa cosa si verifichi altrove, per rispondere a quei bisogni che ci accomunano e ci tengono insieme come società, al di là del tifo per la nazionale.

(Foto di Paolo Bendandi su Unsplash)

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