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La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per la condotta tenuta dalle sue forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz di Genova, effettuata il 21 luglio del 2001, nei giorni del G8. La sentenza è arrivata in risposta al ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, all’epoca 62enne, che riceverà un indennizzo di 45mila euro dallo Stato italiano. Oltre a dare ragione a Cestaro, la Corte ha rilevato la grave assenza dall’ordinamento italiano del reato di tortura, che ha permesso di fatto che gli agenti e i dirigenti coinvolti nel vergognoso blitz notturno non abbiano dovuto scontare neanche un giorno di carcere, nonostante nel 2008 siano arrivate le condanne per 15 dei 150 poliziotti coinvolti. «Ma nessuno sconterà la pena – scriveva Nick Davies in un articolo per il Guardian, poi tradotto da Internazionale–. In Italia gli imputati non vanno in prigione fino alla conclusione dell’ultimo grado di giudizio, e le condanne per i fatti di Genova cadranno in prescrizione l’anno prossimo. I politici che all’epoca erano responsabili della polizia, delle guardie penitenziarie e dei medici carcerari non hanno mai dovuto dare spiegazioni».

Nel 2012 uscì il film Diaz – Don’t clean up the blood, di Daniele Vicari (ne abbiamo parlato qui). All’epoca fummo piuttosto insoddisfatti della visione, dato che ci sembrava mancassero alcuni elementi fondamentali che connotassero il film come sintesi di un’inchiesta iniziata undici anni prima. Eppure dobbiamo rivalutarlo, perché la condanna di ieri conferma il fatto che in Italia non si sa niente di più di quanto mostrato. La scena fondamentale del film è una sfilata di pestaggi che dà il volta stomaco. Si vede la polizia picchiare persone inermi, giunte a Genova per manifestare pacificamente o anche solo per fare informazione su ciò che stava succedendo. La violenza della polizia ricorda le peggiori dittature sudamericane e la metodicità con cui essa è stata messa in atto, in un clima di “sospensione dello Stato di diritto”, ricorda il periodo più buio della storia italiana recente, il ventennio fascista. Purtroppo, lamentavamo all’epoca dell’uscita del film, in esso mancano i nomi dei capi, di chi ha autorizzato o se non altro ha girato gli occhi dall’altra parte, affinché tutto avvenisse all’insegna dell’impunità. Mancano perché, dopo 14 anni, non è stato individuato un responsabile. I dirigenti che allora si occupavano di sicurezza sono stati promossi. L’allora ministro dell’Interno, Claudio Scajola, non ha mai dovuto dare spiegazioni dell’accaduto. Secondo le ricostruzioni, un ministro è stato al carcere di Bolzaneto mentre le torture proseguivano, nei giorni seguenti al pestaggio della Diaz, ma non ha rilevato nulla di insolito. Tutto così normale che ieri a Strasburgo lo Stato italiano è stato condannato per aver torturato i propri cittadini, con l’aggravante di non prevedere nel codice penale, contrariamente alla maggior parte degli altri Paesi democratici, il reato di tortura.

Negli anni ha prevalso la considerazione che, nonostante ci sia questa lacuna, ci sono altre fattispecie di reato che puniscono di fatto il torturatore, pur senza chiamarlo tale. C’è una differenza sostanziale però. Un conto infatti è prevedere una punizione per chi tira un pugno a un’altra persona. Altra cosa è considerare più grave quello stesso pugno se esso è stato sferrato da un rappresentante delle forze dell’ordine per estorcere informazioni, forzare dichiarazioni, o semplicemente umiliare e intimidire l’altro. Non è una differenza così sottile, e ci stupiamo che ancora si perda tempo a discutere di dettagli del tutto trascurabili della questione.

C’è una legge impantanata da oltre un anno in Parlamento, che dovrebbe finalmente colmare questa lacuna. Possiamo già dire che così com’è essa non risolve del tutto il problema, perché (fermo restando il testo depositato alla Camera) il fatto che la tortura sia commessa da un rappresentante costituirà solo un’aggravante (portando gli anni di reclusione da 4-10 a 5-12), per un reato che resterà comunque comune. Nessuna protezione specifica quindi del cittadino di fronte alle violenze delle forze dell’ordine. Tutta da vedere anche la questione della prescrizione, altro problema che permetterà probabilmente a molti degli agenti coinvolti nei fatti della Diaz di vedere il processo a proprio carico chiuso per sempre prima che sia formulato il giudizio in ultimo grado, dato che tra un anno scadranno i termini. L’ultimo pensiero va alle vittime delle violenze, il cui terribile ricordo di quella notte a Genova non andrà mai in prescrizione.