Ci sono voluti tre anni, e nel frattempo si è rischiato di perdere di vista l’argomento principale della proposta di legge, a causa delle numerose modifiche fatte in Parlamento, ma finalmente l’Italia ha una legge sul cyberbullismo. Ne avevamo parlato lo scorso anno, prima per seguire le tortuose vicende dei vari passaggi del testo tra Camera e Senato. Poi ci siamo tornati quando, in un attimo di lucidità, in Parlamento si è deciso di tornare al testo iniziale, e da quello fare ripartire la discussione e il percorso di approvazione.
L’iter si è concluso il 17 maggio con una votazione all’unanimità alla Camera (432 favorevoli, un astenuto). Uno dei problemi che stava incontrando la legge era quello di ampliare eccessivamente l’ambito di intervento oltre i confini del cyberbullismo e parlando genericamente di bullismo. Per voler affrontare troppe cose, rischiava di non avere effetto. Nel testo definitivo è stata ripristinata la definizione di cyberbullismo, che per la prima volta trova spazio nell’ordinamento italiano: cyberbullismo è «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni, nonché la diffusione di contenuti online il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo».
Non si tratta di una legge che riguarda solo i reati, ma anche comportamenti che, pur non costituendo un illecito, possono essere sgraditi alla vittima e indurre a comportamenti pericolosi (ricordiamo che si è iniziato a parlare della legge dopo un caso di cronaca che ha avuto purtroppo come epilogo il suicidio di un’adolescente). Essendo rivolta principalmente ai minori, la legge ha abbassato a 14 anni l’età minima per poter inoltrare a provider e social network la richiesta di rimozione di contenuti. «Se il sito non provvederà a rimuovere il contenuto entro 48 ore – spiega il Post –, dovrà farlo il Garante per la protezione dei dati personali entro altre 48 ore. Se il responsabile è una persona che ha dai 14 ai 18 anni, inoltre, non scatterà un processo ma solamente la cosiddetta “procedura di ammonimento”: una serie di misure di dissuasione simili a quelle già previsto nella legge anti-stalking».
Altre misure previste sono l’inserimento di un referente in ogni scuola, che avvii corsi di formazione per gli insegnanti, in modo da metterli in grado di riconoscere questo tipo di comportamenti. La formazione sarà estesa anche agli studenti. Non solo: «Vengono ampliate le risorse destinate alla Polizia postale specializzate nella tutela dei minori sul web – spiega il Corriere –. Inoltre, viene costituito un tavolo tecnico interministeriale permanente per il contrasto al fenomeno. Qui verrà creato un piano d’azione e verrà realizzata una banca dati per monitorare l’andamento dei casi di cyberbullismo».
Se in molti si sono detti soddisfatti per l’obiettivo raggiunto, c’è anche chi ha messo in luce le debolezze della legge. Tra questi il giornalista Massimo Mantellini, che sul suo blog denuncia l’eccessivo ricorso alla “comitatologia” (cioè l’istituzione di commissioni, tavoli, comitati i cui rappresentanti si dovranno occupare a titolo gratuito di un sacco di cose). Inoltre il punto fondamentale riguarda i fondi (come spesso accade quando le votazioni si concludono con voto favorevole unanime): «Sapete – chiede Mantellini – quanto nuovo denaro stanzia (art. 5) la legge per “le esigenze connesse allo svolgimento delle attività di formazione in ambito scolastico e territoriale finalizzate alla sicurezza dell’utilizzo della rete internet e alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo”? La somma esatta è 220.000 euro all’anno. Che se volete potrete dividere per le 8mila scuole italiane. Quando qualcuno, durante l’iter della legge, provò a far notare l’assoluta esiguità della somma, in Commissione bilancio fu detto chiaramente che non c’erano soldi e che la legge poteva procedere solo così. Vale a dire senza un euro per la prevenzione. A cosa serve scrivere una norma, sottoporla ad un lunghissimo e rischioso iter parlamentare se poi è chiaro fin dall’inizio che lo Stato non metterà un soldo? Cosa differenzia una norma del genere, dal mero punto di vista della prevenzione, dalle mille iniziative di comunicazione già attive al riguardo?».
Domande più che legittime, che fanno sospettare che si tratti più di una manovra di facciata che di una misura sostanziale. Come si dice in questi casi però, il testo costituisce una buona base per future modifiche e integrazioni. E, si spera, iniezioni di denaro.
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