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Un articolo di Giovanni Solimine, presidente del Forum del libro, pubblicato su Doppiozero, descrive la (critica) situazione delle abitudini di lettura in Italia. Di seguito elenca poi alcuni aspetti contenuti in un’iniziativa di legge promossa dalla sua associazione, sui quali il governo è chiamato ad agire con maggiore decisione.

Si rischia di essere noiosi a ripetere in ogni occasione il rosario delle cifre che descrivono lo stato della lettura e delle competenze linguistiche degli italiani. Ma forse vale la pena di ricordare qualche dato. Soltanto il 43 per cento degli italiani legge un libro all’anno (a fronte del 61,4 per cento degli spagnoli, 70 dei francesi, il 76 degli inglesi, l’82 dei tedeschi); la povertà delle pratiche culturali è in gran parte dovuto a scarsi livelli di istruzione: infatti, la percentuale di laureati nella fascia d’età 25-64 anni è del 15 per cento rispetto al 28 dell’Unione europea e al 31 per cento dell’area Ocse, e a ciò aggiungerei che quasi il 20 per cento dei nostri laureati non legge neppure un libro all’anno; non deve stupirci, allora, se il 70 per cento della popolazione adulta risulta priva delle competenze linguistiche essenziali per comprendere il significato di un testo (come è testimoniato dai risultati dell’indagine Piaac, che ci relega all’ultimo posto nella graduatoria dell’area Ocse).

La conclusione che se ne può trarre è che non stiamo parlando solo di libri e lettura, ma di una vera e propria emergenza nazionale: con l’ignoranza non si mangia e solo un grosso sforzo collettivo potrà portare l’Italia a pieno titolo nel novero dei paesi pronti ad affrontare le sfide di una società knowledge based.

[…] Mi soffermo qui brevemente solo su alcuni aspetti che presentano le maggiori criticità, per i quali credo sia necessario un approfondimento (a questo proposito, qualcosa di più viene detto nel documento consegnato in occasione dell’audizione):

Il Centro per il libro e la lettura, istituito nel 2010 per raccordare le politiche pubbliche in questo settore, appare assolutamente inadeguato a questo compito e ciò non dipende unicamente delle scarse risorse di cui dispone: si rende necessario un ripensamento del suo assetto, per dargli maggiore rappresentatività e dotarlo delle competenze necessarie, in modo che esso possa acquistare maggiore incisività.

Qualsiasi attività di promozione della lettura risulterebbe inefficace se non fosse accompagnata da un rafforzamento delle “infrastrutture della lettura”, librerie e biblioteche, distribuite in modo diseguale sul territorio nazionale: coloro che si accosteranno alla lettura per effetto di una manifestazione culturale come potranno continuare a leggere se vivono in comune privo di biblioteca, se frequentano una scuola in cui il libro non ha diritto di cittadinanza, se non incontreranno i libri sul loro cammino?

Le biblioteche pubbliche, che spesso rappresentano l’unico presidio culturale sul territorio, sono stremate dalla crisi della finanza locale e, specie nelle regioni meridionali, sono incapaci di garantire un’offerta che rappresenti la produzione editoriale contemporanea e un servizio in grado di esercitare un appeal sui cittadini. Si rende necessario un piano nazionale di edilizia bibliotecaria, da finanziare con fondi strutturali comunitari, e un potenziamento degli organici, attraverso una deroga al blocco delle assunzioni. Queste due misure potrebbero portare una ventata di aria fresca e coniugare il potenziamento al rinnovamento delle strutture e dello stile di servizio.

La lettura deve diventare parte integrante delle pratiche educative. Se si vuole superare la situazione di precarietà in cui languono le biblioteche nelle scuole andrebbe finalmente affrontato il nodo della figura del bibliotecario scolastico, istituendo formalmente questo profilo professionale. Ma la lettura a scuola non passa solo attraverso le biblioteche e andrebbe anche istituita la figura di un docente referente per la promozione della lettura.

Le politiche di promozione dovrebbero puntare molto anche sulla diffusione dei contenuti digitali e stimolare gli editori interessati a sperimentare la produzione di forme innovative di pubblicazione e circolazione della conoscenza su supporto elettronico. A ciò si può contribuire anche uniformando l’aliquota Iva sulle pubblicazioni elettroniche (attualmente 22 per cento) a quella vigente sulle pubblicazioni cartacee (4 per cento): il provvedimento riconoscerebbe agli ebook la dignità di libro e contribuirebbe ad abbassarne i prezzi e favorirne la diffusione.

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