All’inizio dell’anno è impossibile sfuggire alla tentazione di guardarsi indietro e pensare a cosa ci ha lasciato quello appena passato. Non necessariamente un fatto, un evento specifico. Di quelli se ne potrebbero valutare tanti, dalla morte di Nelson Mandela al tifone nelle Filippine passando per l’inizio del papato di Francesco. Niente di così serio, qui vogliamo parlare di qualcosa di molto più trasversale, che riguarda il capo di Stato quanto il comune cittadino: il selfie. Ebbene sì, è questa la parola, la moda, il trend che ci lascia il 2013 (e infesterà anche il 2014, si può prevedere). Ovunque ci sia una persona dotata di smartphone, tremate, perché il selfie è in agguato.

Più anticamente tale fenomeno (qualcuno lo ricorderà) era definito autoritratto, autoscatto, o self portrait in inglese. Ma erano tempi in cui se ne facevano ancora pochi e si potevano accettare parole di una lunghezza oggi non più giustificabile. Selfie ergo sum, si potrebbe dire. L’uso che se ne fa può essere diviso in diverse categorie, a seconda dei soggetti che ne sono protagonisti o dell’uso che questi ne fanno. Innanzitutto ci sono le persone famose: stelle del cinema, della musica, capi di Stato. Costoro fanno un selfie e poi lo pubblicano sui social network, ed è subito l’inizio di una pioggia infinita di ripubblicazioni (reblogging? retwitting?) della foto stessa. Per le star dello spettacolo è un modo molto efficace di ottenere visibilità e attenzione in un contesto pieno di “rumore” in cui è facile sparire. Con il selfie si ha l’illusione di entrare nell’intimità di questo o quel personaggio, nel suo bagno, nella sua stanza da letto, nella piscina in giardino. Da questo punto di vista, forse fu il celebre fondoschiena di Scarlett Johansson a inaugurare l’abitudine delle star a mostrare, con abili giochi di specchi o pericolose torsioni della colonna vertebrale, le proprie fattezze così come sono, lontano dai ritocchi dei servizi fotografici professionali destinati alla stampa. Spesso si tratta di comunicare una novità ai propri fan. Se un tweet di una qualsiasi cantante o attrice con scritto «nuovo tatuaggio sulla caviglia!» sarebbe destinato a un discreto successo, molto più efficace risulta eliminare del tutto il testo e pubblicare una foto della nuova farfalla (o delfino o citazione da libro non letto) tout court. Clamore immediato.

Per quanto riguarda i capi di Stato, rimarrà forse insuperato ancora per molti anni il selfie scattato dal primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt in compagnia di Barack Obama e David Cameron al funerale di Nelson Mandela. Il luogo e l’occasione avrebbero forse richiesto un contegno diverso, ma chi siamo noi per limitare il bisogno di selfie, seppure in una celebrazione ufficiale?

E poi ci sono gli scatti della gente comune, spesso fatti per testimoniare in tempo reale il momento in cui si ha l’occasione di essere a pochi metri (o anche abbracciati) a persone che comuni non sono. Tipo il papa o Beyoncé. Anche l’uso quotidiano per aggiornare su piccoli cambiamenti del proprio corpo è molto gettonato, c’è chi è in grado di costruirsi una propria comunità di seguaci sempre pronti a commentare il nuovo taglio, il nuovo tatuaggio o le fattezze maschili e femminili, ché mica solo le star hanno il diritto ai generosi apprezzamenti dei fan.

C’è poi un sotto genere di cui forse ancora nessuno si è accorto: le foto di persone nell’atto del selfie (il meta-selfie, potremmo dire). Cosa possono fare i tradizionali fotografi, professionisti o non, abituati a rivolgere l’obiettivo della propria macchina fotografica verso il mondo invece che verso se stessi, se non ritrarre i propri soggetti nell’atto più trendy del momento? Facciamoci tutti un bel sorriso, e poi clic.