di Marco Calini
Approfittiamone di questo pertugio fra la proclamazione degli eletti ai ballottaggi delle Amministrative e la convocazione dei comizi elettorali per la prossima festa della democrazia. Approfittiamone per depennare un modo di dire ed -hai visto mai- eleggerlo a modo di fare. Una città a misura d’uomo: e chi, a parte il lupo cattivo, non la vorrebbe? Più scontato che affermare che l’acqua è bagnata, l’espressione “città a misura d’uomo” è caso esemplare della decadenza dell’uso in abuso, dell’inflazione lessicale che svaluta una tautologia forzata dal precipitare degli eventi. Il professor Giuseppe Lazzati, spendendola, aveva dato uno sguardo a quanto, in nome del bisogno, aveva stravolto città e paesi italiani. Il secondo Dopoguerra, infatti, alza il tenore di vita, ma abbassa l’”umanità” delle città; prima il problema era sfamare, adesso placare la fame di vivibilità che il benessere porta con sé. E questo nell’ambiente più tipicamente umano, la città; così umano che la tradizione biblica ne vede in Caino il primo fondatore.
Del resto, per etimo, città è strettissima parente di civiltà; dunque, che bisogno c’è di ribadire l’ovvio? Nessuno, è la risposta più onesta. Ma siccome in guerra, in amore e in campagna elettorale tutto è permesso, ecco lo scontato farsi propaganda, in tutte le varianti che l’adattabilità della specie homo politicus abbraccia per sopravvivere alla selezione naturale. C’è l’appello alla vivibilità, l’inno alla qualità della vita, il peana all’ambiente che abbiamo ereditato per passare ai nostri figli, gli alberi genealogici delle famiglie di eco e bio termini. E guai a non saperli; sarebbe un buco nero nel programma elettorale, anche se non lo legge nessuno, anche se quel programma fosse scritto con l’inchiostro simpatico o in codice ascii. Persino Expo 2015 aveva commosso tutti pensando un tema ambientale per darsi un tono, poi, si sa, dal tema si può uscire, perché la flessibilità non è soltanto un must di chi vuole lavorare, ma anche di chi, di professione, immagina mondi paralleli e irrealizzabili. Irrealizzabili perché, contrariamente al professor Lazzati, quell’espressione “città a misura d’uomo” non si sa o non si vuole comprendere. La centralità dell’uomo nella città significa soltanto che l’uomo è centrale per l’uomo, che una città per l’uomo è una città non di individui ma di persone. A fare la differenza sono le “relazioni con”: un individuo ne fa a meno, una persona no. Un individuo, in campagna elettorale, può tenere comizi da tutto esaurito e stringere mani a migliaia senza essere uomo; un uomo, che per definizione classica è animale politico, no. Un uomo, la misura della città, l’ha in tasca, non gli serve riempirsene la bocca. Cercansi urgentemente uomini per le prossime elezioni. Saranno i nostri candidati.