«La legge sulle droghe è il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia italiana e nelle carceri. Basti pensare che senza detenuti per art. 73 (spaccio) o senza detenuti dichiarati “tossicodipendenti” non si avrebbe alcun problema di sovraffollamento nelle carceri italiane». «Siamo qui a celebrare la “Giornata mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di droga”, istituita dall’Onu, senza che, in realtà, a nessuno importi davvero qualcosa». Abbiamo scelto due frasi piuttosto dure per aprire questo post. La prima è presa dal Libro Bianco sulle droghe 2022, giunto alla sua tredicesima edizione. La seconda da un articolo di Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche, pubblicato su Vita.
Il Libro bianco è stato presentato il 23 giugno, mentre la Giornata mondiale si è celebrata il 26 giugno. La vicinanza dei due eventi, certo non casuale, impone di considerare i due problemi come strettamente collegati. Se Squillaci propone giustamente di rimettere la persona al centro, una rapida occhiata ai dati lascia intuire come il sistema giuridico italiano tenda molto più spesso a mettere la persona in carcere: «“10.350 dei 36.539 ingressi in carcere nel 2021 sono causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Non è vero quindi che ‘gli spacciatori non vanno in carcere’. Sono invece il 28,3% degli ingressi totali molti dei quali vi restano”. Stabile, inoltre, la percentuale dei presenti per droghe che rappresenta il 34,88% del totale (nel 2021 era il 35,04%). “È una percentuale quasi doppia rispetto alla media europea (18%) e mondiale (21,65%) – si legge nel libro – e che supera anche quella della Russia (28,6%)”».
Certo lo spaccio è un reato che va punito, ma è contestabile il fatto che il ricorso così estensivo alla carcerazione ci avvicini a risolvere il problema. Un altro dato che colpisce è la percentuale di detenuti certificati come “tossicodipendenti” sul totale. «Sono il 35,85% di coloro che entrano in carcere, mentre al 31 dicembre 2021 erano presenti nelle carceri italiane 15.244 detenuti “certificati”, il 28,16% del totale: più di 1000 in più rispetto all’anno precedente. Si tratta del record percentuale, oltre i livelli della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007), alimentato dall’aumento degli ingressi in carcere di persone che usano sostanze».
Ancora una volta chiediamo: siamo certi che il carcere sia il luogo ideale in cui permettere il recupero di persone che hanno un problema di tossicodipendenza, che spesso deriva a sua volta da condizioni familiari, economiche e sociali che li hanno avvicinati al mondo della delinquenza? Squillaci sottolinea appunto che per “mettere al centro le persone”, nel concreto, bisogna potenziare i servizi che se ne prendono cura: «Servizi che in questi ultimi anni sono stati marginalizzati e dimenticati sempre di più», scrive.
Intanto c’è un problema legislativo: «In Italia abbiamo un sistema dei servizi regolato da una normativa sulle dipendenze, ibernata al 1990, e pertanto incapace di rispondere ai bisogni di un mondo, quello delle dipendenze, profondamente mutato rispetto a trent’anni fa. Un quadro normativo che disegna un modello di intervento fortemente centrato sul problema e non sulle persone».
Sia Squillaci sia Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, parlano della necessità di “cambiare paradigma”. Il primo lo fa nello stesso articolo citato, suggerendo di entrare «in una logica di prossimità che significa ripartire dalle relazioni, abbattendo le distanze, le differenze nel settore della salute […] Significa iniziare davvero a strutturare concretamente un sistema integrato, pubblico e privato sociale, nell’ottica della presa in carico territoriale, capace di garantire non solo la pari dignità, ma anche e soprattutto l’effettiva esigibilità del diritto di scelta e di cura del cittadino utente».
Gonnella, nelle conclusioni del Libro bianco, si sofferma sulla regolamentazione in vigore e sulla sua inadeguatezza sia preventiva che riparativa, con un’amara conclusione: «La normativa sulle droghe non ha alcuna efficacia preventiva, speciale o generale. I numeri dei consumi e della repressione ci dicono che le scelte del singolo o della generalità dei consociati non sono state minimamente condizionate dalla severità della reazione penale. Non c’è ancora nel nostro Paese la tensione verso un cambio di paradigma».
(Foto di Markus Winkler su Unsplash)
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