Qualche giorno fa, è uscita sul magazine satirico francese Charlie Hebdo una vignetta a proposito del terremoto avvenuto nel Centro Italia in agosto. Così come ci siamo schierati a favore del giornale in passato, quando colpito da attentati terroristici, oggi possiamo con grande serenità dire che quella vignetta fa schifo. Attenzione, non ci stiamo unendo al coro di quelli che, con la bava alla bocca, urlano che Charlie Hebdo dovrebbe chiudere, né con la nostra critica possiamo essere messi tra quelli che in qualche modo si oppongono alla libertà di satira e di stampa. Queste infatti sono le due posizioni che più si sono confrontate sui giornali e sul web nei giorni scorsi, ed è facile quindi che esprimendosi sull’argomento si finisca per essere messi necessariamente nell’una o nell’altra categoria.

La realtà (per fortuna) è più complessa, e dunque si può (si deve) essere al contempo a favore della libertà di stampa e d’espressione, ma critici verso ciò che di questa libertà ognuno fa. Non è un concetto nemmeno tanto nuovo: già l’aforisma più noto di Voltaire diceva la stessa cosa, meglio e con più forza, nel XVIII secolo. Il problema della vignetta in questione è che se la prende con i morti, invece che col potere. Magari l’intento era proprio l’opposto, anzi conoscendo Charlie Hebdo si può dire con una certa sicurezza che lo era. Ma non possiamo inventarci qualcosa che non c’è, e quella vignetta ridicolizza e insulta le vittime, punto. Ci possono essere le intenzioni più nobili alla base: la volontà di criticare i mancati interventi di messa in sicurezza degli edifici crollati, o il fatto che le cose in Italia, anche quando si fanno, non ci si mette troppa serietà. Ma sono ragionamenti successivi, di chi vuole fare un esercizio, uno sforzo, per assolvere un lavoro editoriale brutto, malpensato e malriuscito.

Poi si può ragionare su cosa debba o non debba essere la satira, quali siano i suoi confini, le sue prerogative e ciò che la definisce. C’è chi, come il giornalista (ed ex autore televisivo per un «noto programma TV satirico italiano in onda dal 1988») che usa come pseudonimo I Hate Milano, che scrive su Gli Stati Generali che la satira «ha a che fare con lo schifo. Deve, per sua natura, suscitare una reazione forte, di pancia. Deve shoccare, nauseare. E come fa la satira a ottenere questo effetto? Attraverso la rappresentazione di immagini e simboli che una certa società, in un certo momento storico, ritiene sacri (altrimenti non ci sarebbe la reazione) che vengono usati, dal satirico, come mezzi per dire qualcosa su quella stessa società».

Che lo “schifo” sia un elemento intrinseco alla satira è tutto da dimostrare. È una questione di stile, si può fare una critica pungente, anche feroce, senza per forza arrivare a nauseare. D’accordo sul linguaggio dissacratorio come fine per stimolare una riflessione sulla società. Ma appunto, qual è il “sacro” che questa vignetta punta a violare? La vita umana? O forse l’intento è criticare il potere senza rappresentarlo, ragionando solo sugli effetti delle sue inefficienze? Ancora una volta, ci sembra un generoso sforzo di interpretazione che questa vignetta non merita.

Per sciogliere ulteriori dubbi sul fatto che il lavoro in questione non meriti alcuna difesa, il mensile Vita è andato a intervistare Mario Cardinali, direttore del Vernacoliere, giornale satirico toscano che non ha certo paura di servirsi della coprolalia per riempire le sue pagine. «Mi sembra una provocazione fine a se stessa. Becera e inutile», è la sua sentenza. Nella sua visione di che cos’è la satira non si parla di “schifo”, ma è descritta più come un’attitudine: «Non ci sono caratteristiche precise. È un bisogno dell’anima e dell’intelletto di rompere i coglioni. Ognuno la intende come vuole. Poi c’è l’humus culturale in cui si è nati che detta altre differenze. In genere è un opporsi all’ordine e alla visione generale. […] Se c’è una caratteristica è che la satira serve per far riflettere. Spingere a riflettere su qualcosa. Per questo è pessimista. Ma qui non so dire su cosa dovrei riflettere». Infine, per chi sostiene che criticare questa vignetta voglia dire essere a favore della censura, ecco l’affondo implacabile di Cardinali: «La libertà di espressione non è soltanto dare aria alla bocca. Ruttare e scoreggiare in mezzo alla gente non è libertà. La censura è una prepotenza altrui che vuole soffocarmi. Qui non c’è nulla da soffocare. La società non è solo un insieme di obblighi e libertà. C’è anche l’incontro di intelligenze e di comprensioni. Quando si soffocano intelligenze e comprensioni è lì che c’è censura. Dov’è l’intelligenza di quella vignetta? Non è solo lecito, è anche doveroso dire che quella vignetta è una schifezza». Dunque lunga vita a Charlie Hebdo e alla satira, un lavoro importante che merita rispetto, innanzitutto da pare di chi lo fa.