Per chi ha una disabilità motoria, la sedia a rotelle non è un ostacolo al movimento, bensì uno strumento che lo rende possibile. Iacolo Melio sulla Stampa riflette su alcuni automatismi della lingua che rischiano di ribaltare la realtà e il modo in cui la interpretiamo.
Quando nasci con una disabilità è per certi versi più facile rispetto a quando disabilizzato lo diventi successivamente, magari a causa di un incidente: non devi abituarti a nulla, sei così e basta. E io, per fortuna, mi sono sempre sentito una persona «normale» (che brutto termine…) in mezzo a quelle «normali». Oggi sono decisamente attivo, svolgo più di un lavoro e ho una vita sociale piena: e il mio ruolo partecipe di cittadino lo devo anche alla mia sedia a rotelle.
Ecco perché rabbrividisco quando sento ancora utilizzare espressioni come «costretto in carrozzina». È un linguaggio sensazionalistico tipico dei media, che in questi casi tutto fanno tranne normalizzare. È successo anche pochi giorni fa, con la notizia di un ragazzo che dopo essersi formato sul metodo Caa (comunicazione aumentativa alternativa) ha deciso non solo di raccontare la sua esperienza nelle scuole ma anche di insegnare ad altre persone questo metodo: un risultato non solo soddisfacente a livello personale ma anche importante per la comunità, peccato per quel «Elia, bloccato in carrozzina» con il quale molti giornali lo hanno introdotto. Anzi, descritto. Il disabile prima della persona, la cartella clinica prima della risorsa umana.
Direste mai che una persona «bloccata» sia felice o soddisfatta? Non credo. Per questo l’immagine della carrozzina come catena o gabbia che opprime, come peso che grava sulla propria “condizione” (già di per sé sfigata, questo è il loro sotto-testo), non solo è vecchia ma anche insensata, e soprattutto pericolosa perché alimenta stereotipi che dovremmo invece ribaltare.
Certo, io non potrò mai alzarmi da solo dalla mia carrozzina, non posso lasciarla senza l’aiuto di chi mi prende in braccio, ma questo non conta: varrebbe lo stesso se mi sedessi su un divano, a letto, sul pavimento, su un asciugamano in mezzo a un prato o sulla sabbia in riva al mare… Il punto della questione è infatti un altro.
La carrozzina è movimento. Permette di essere individui liberi, di spostarsi, fare attività. Quelle quattro ruote ti confondono in mezzo ad altre ruote, gambe, bastoni. Una sedia a rotelle è sinonimo di attività e attivazione. Non a caso si è deciso di passare dal classico simbolo dell’handicap con una carrozzina «statica» a un’immagine più dinamica, in cui la persona stilizzata è sbilanciata in avanti nell’atto di spingere le ruote, proprio per uscire da questa retorica di prigionia e di sofferenza.
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(Foto di Romain Virtuel su Unsplash)
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