«Qui un tempo era tutta campagna», è una di quelle frasi che si sentono pronunciare sempre meno. Di com’era un tempo il paesaggio di molte aree italiane si sta perdendo memoria, a causa della cementificazione che ci ha abituati ad agglomerati urbani sempre più estesi. Non è questione di luoghi comuni o pensieri catastrofici, ma un allarme lanciato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nello studio dal titolo “Il consumo di suolo in Italia” (scaricabile qui). Il rapporto è il più completo ed esteso che sia mai stato realizzato e ricostruisce l’andamento della riduzione delle aree forestali e agricole in Italia dal 1956 al 2012, che continua costante e inesorabile anche nei nostri giorni, nonostante la crisi di questi anni possa far pensare a un calo delle costruzioni. Niente di tutto questo: nuove aree urbane continuano a svilupparsi attorno alle città, estendendone progressivamente la superficie. Al contempo, anche le infrastrutture fanno la loro parte: strade, autostrade e linee ferroviarie compongono il 28 per cento del territorio “artificiale” italiano.

«Non accenna a diminuire, anche nel 2012, la superficie di territorio consumato – si legge in un comunicato dell’Ispra – ricoperti, negli ultimi tre anni altri 720 chilometri quadrati, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. In termini assoluti, si è passati da poco più di 21mila chilometri quadrati del 2009 ai quasi 22mila del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3 per cento del nostro territorio». Non si tratta solo di un danno estetico per la deturpazione del paesaggio, bensì di un fenomeno che si porta dietro effetti reali sulla salute e la sicurezza. Il primo aspetto è relativo all’inquinamento prodotto dai lavori di costruzione: «La cementificazione galoppante ha comportato, dal 2009 al 2012, l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di anidride carbonica – valore pari all’introduzione nella rete viaria di 4 milioni di utilitarie in più (l’11 per cento dei veicoli circolanti nel 2012) con una percorrenza di 15mila chilometri all’anno – per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro». Anche in agricoltura ci sono conseguenze, che si riversano su ciò che mangiamo: «Solo per fare un esempio, se i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero coltivati esclusivamente a cereali, nel periodo 2009-2012 avremmo impedito la produzione di 450mila tonnellate di cereali, con un costo di 90 milioni di euro ed un ulteriore aumento della dipendenza italiana dalle importazioni».

In merito alla sicurezza, basta guardare ai drammatici esiti che hanno avuto alcuni eventi atmosferici che si sono verificati sulla penisola negli ultimi anni. Lo abbiamo detto tante volte anche noi: i danni provocati dalle alluvioni che hanno colpito Sicilia, Liguria e Sardegna (tra le altre) non avrebbero avuto esiti così disastrosi se il suolo fosse stato in grado di assorbire maggiormente l’acqua piovana e quella portata dai fiumi in piena. «In questi tre anni – continua il comunicato – tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 millimetri di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita». Come? Sicuramente non costruendo case nei letti dei fiumi, come accaduto nelle regioni citate. Il verbo “gestire” (dolce eufemismo) si traduce in pratica con grandi esborsi di (tanti) soldi pubblici, per la prevenzione e le emergenze: «In base ad uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012, è stato stimato intorno ai 500 milioni di euro». L’Unione europea ha indicato una tabella di marcia verso il “consumo netto zero di suolo/territorio”, da raggiungere entro il 2050. Per come siamo messi, siamo parecchio fuori strada.