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La scadenza (in deroga alle tante precedenti) per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (opg) è fissata per il 31 marzo. La sua effettiva applicazione dipende dalla capacità delle Regioni di dotarsi di leggi, strutture e percorsi di cura alternativi all’internamento entro quella data. Come andrà a finire lo scopriremo solo allora, nel frattempo speriamo che, in questo anno di deroga, qualcosa si sia mosso e si possa quindi scongiurare un ulteriore slittamento del termine. L’esistenza degli opg è una grande contraddizione per un Paese che ha visto compiersi alcuni decenni fa una rivoluzione culturale condotta da numerosi intellettuali e medici, culminata con l’approvazione della legge numero 180 del 1978, nota come “legge Basaglia”. Che non dovrebbe chiamarsi così, visto che Franco Basaglia non era un parlamentare ma uno psichiatra e neurologo, e della legge non è stato il relatore ma, al massimo, l’ispiratore. La vicenda di questa importantissima pagina della storia sociale italiana è ripercorsa in un articolo di Vanessa Roghi pubblicato sul sito di Internazionale, dove la storica racconta il libro del collega inglese John Foot, dal titolo La “Repubblica dei matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia. 1961-1978. La lettura dell’articolo svela molti punti forse poco noti del percorso che ha portato alla chiusura dei manicomi in Italia, e aiuta a porre l’accento su alcune vicende che siamo ormai abituati ad accettare acriticamente in una versione molto semplificata, che non rende giustizia a quel complesso momento storico.

Sono quattro i punti fondamentali che secondo Roghi emergono dalla lettura del libro, il primo dei quali è che Franco Basaglia, da solo, non avrebbe mai fatto niente. Può apparire ovvio, ma quando una visione rivoluzionaria irrompe sulla scena, devono esserci molti animi predisposti ad accoglierla, affinché questa produca la rivoluzione sperata. Il terreno fertile da cui le idee hanno germogliato è costituito da tutti gli scienziati, studiosi, intellettuali e artisti che hanno condiviso e integrato il lavoro di Basaglia, fin dal suo arrivo a Gorizia nel 1961, dove fu “confinato” a dirigere il manicomio cittadino. «Grazie a questo gruppo di persone (Basaglia e i suoi collaboratori, ndr) i reparti vengono aperti, vengono restituiti ai malati gli oggetti personali, viene dato loro il diritto di parola nelle assemblee generali – scrive Ronchi –. Grazie a questo gruppo di persone la proposta di Gorizia raggiunge angoli remoti del paese, mettendo in relazione mondi fino a quel momento estranei: quello della psichiatria e quello degli amministratori locali».

Il secondo punto da mettere a fuoco è che Basaglia non amava i matti, ma odiava il manicomio: «Quello che interessa al medico veneziano non è il malato, da accudire e proteggere, bensì l’essere umano, nel senso più radicale, esistenziale del termine. Per questo agisce sull’istituzione e non sulla malattia […] Odia in primo luogo il manicomio perché sa che dentro il lager non esiste terapia possibile, che nessun uomo, posto di fronte a condizioni inumane di vita può rispondere in alcun modo a alcun tipo di sollecitazione». Distruggendo l’istituzione che loro stessi rappresentavano, i medici di questo movimento hanno abolito, per sempre, il proprio impiego. Andavano contro i propri interessi più materiali, inseguendo un’idea che credevano giusta.

Terzo punto fondamentale: la legge Basaglia dovrebbe chiamarsi legge Orsini, dal nome del suo relatore. Si trattò di una legge tutt’altro che condivisa e ragionata con calma e criterio. Non è la sintesi di un pensiero, ma l’argine democristiano a una rivoluzione già in atto: «La 180, è poco noto, fu una legge promulgata in fretta e furia, discussa solo nelle commissioni, mai arrivata in aula, come risposta al rischio dei referendum indetti dai radicali, che volevano l’immediata chiusura degli ospedali psichiatrici senza alcun dispositivo cuscinetto. Per questo Marco Pannella la accusò di essere inutile e strumentale. Anche Franco Basaglia la vide come un passo indietro rispetto alle esperienze già maturate sul campo a Trieste, Arezzo, Perugia». Non fu l’esito del cambiamento, ma l’inizio di un percorso, che da allora ha vissuto anche battute d’arresto, con leggi che ne ridimensionavano l’efficacia.

Punto numero quattro: Franco Basaglia è stato il più importante intellettuale della storia dell’Italia repubblicana. L’azione collettiva innescata dal suo lavoro «ha lasciato più di ogni altra dei diritti di cui continuiamo ogni giorno a godere: quando accompagniamo i nostri figli disabili in scuole dove non esistono più classi differenziali, quando abortiamo, senza che nessuno ci chieda perché, quando vediamo riconosciuto il nostro diritto di uomini e donne a essere uguali come genitori e coniugi dentro la famiglia». Se già allora si è capito che l’internamento e l’isolamento non possono costituire le basi per un percorso di cura del malato, risulta ancora più incomprensibile come sia possibile accettare ancora la presenza di opg in Italia.