Della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) si parla da anni, e la legge che l’ha ufficialmente realizzata è entrata in vigore il primo aprile di quest’anno. Eppure nella pratica è cambiato meno di quanto possa sembrare, perché molte persone che già potrebbero essere dimesse sono ancora recluse in centri che si chiamano diversamente (Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria), ma che in sostanza non sono molto diversi dagli Opg.

Secondo la campagna StopOpg, la legge che ha imposto la chiusura degli Opg non mirava a inviare i detenuti (persone che hanno commesso reati e che presentano disturbi mentali) in altre strutture, bensì a favorire l’avviamento di queste persone verso programmi di riabilitazione, modulati ovviamente a seconda della maggiore o minore gravità di ogni caso. Redattore Sociale, che cita StopOpg, scrive che «Stando ai dati, al 31 marzo 2015, gli internati ospitati negli ospedali psichiatrici giudiziari erano 689. Dopo sei mesi la situazione è più o meno la stessa, denuncia la campagna: 226 persone sono ospitate nei cinque opg, 220 pazienti si trovano a Castiglione Fiorentino che “ha solo cambiato targa, ora si chiama Rems, ma di fatto è una struttura manicomiale”, 300 sono gli internati detenuti nelle Rems attivate in alcune regioni».

Per il portavoce Stefano Cecconi la situazione è inaccettabile: «Con i numeri siamo rimasti fermi ai 600/700 pazienti di marzo, tra persone in opg e nelle Rems, il processo di superamento degli Opg è stato avviato ma sta incontrando diversi intoppi. Assistiamo a un boicottaggio, volontario o involontario, che sta ostacolando la chiusura delle strutture e l’avvio della riforma. I ritardi sono vergognosi, in particolare di alcune regioni. C’è chi non ha accolto subito i propri pazienti lasciandoli rinchiusi negli ospedali psichiatrici e, inoltre, quasi tutte le regioni hanno interpretato male la legge 81, concentrandosi sull’attivazione delle Rems. Quando invece è l’offerta di progetti terapeutici individuali, preparati dai Dipartimenti di salute mentale, che permette alla magistratura di evitare la misura detentiva in Rems e optare per misure alternative, certamente più efficaci per la cura e la riabilitazione».

La situazione sta mettendo in difficoltà anche chi gestisce gli attuali cinque Opg ancora funzionanti, che da un lato stanno procedendo a ristrutturazioni per destinare i propri spazi ad altra attività, ma dall’altro non sanno quando potranno dimettere gli attuali ospiti, perché una data precisa ancora non c’è (qui sono raccontati da RaiNews i casi di Aversa, Campania, e Castiglione delle Stiviere, Lombardia).

La situazione sta insomma procedendo nella direzione giusta, ma con intoppi ed elementi di improvvisazione tipicamente nostrani. Va infatti detto che l’Italia (grazie al lavoro fatto da Franco Basaglia negli anni ’70) ha una visione piuttosto avanzata rispetto a come trattare la persona con disturbi mentali colpevole di reati (spesso gravi). Come si legge su Quotidiano Sanità in un articolo del 2014: «È comunque da sottolineare come questa iniziativa sia unica nel mondo, e nella letteratura scientifica non si ritrovi nulla o quasi di quanto descritto nei provvedimenti legislativi. È vero che l’iniziativa si colloca in un panorama come quello italiano che ha completato il processo di deistituzionalizzazione, ma non vi sono precedenti noti per una deistituzionalizzazione di autori di reato affetti da malattia mentale». Lo stesso articolo si conclude con una riflessione che nasconde una vena ironica: «L’Italia potrà gestire questa opportunità storica di un trattamento innovativo solo ispirandosi alla scienza e ai dati della letteratura, l’improvvisazione in questa situazione sarebbe una forma di razionalità negata».

Detto questo, questa delicata fase va gestita al meglio quanto prima, e le proposte di StopOpg sono tre: «1. Procedere con l’immediato Commissariamento delle regioni inadempienti, per riportare nei binari giusti il processo di chiusura-superamento degli Opg. Si tratta di organizzare le dimissioni dagli Opg, per chiuderli davvero e rapidamente, e di attuare correttamente la legge 81: privilegiando percorsi di cura con misure alternative alla detenzione in Rems (o in carcere). Il che implica un lavoro con la magistratura e i servizi. E la destinazione delle risorse (finanziarie, strutturali, di personale, ecc.) piuttosto che alle Rems ai servizi socio sanitari di salute mentale per garantire progetti di cura e riabilitazione. 2. Approvare un atto che impedisca – o renda eccezionale – l’invio della misura di sicurezza provvisoria in Rems, già così calerebbero drasticamente le presenze. 3. Avviare la discussione per abolire il “doppio binario”, retaggio del codice Rocco, che separa il “reo folle” dal “reo sano”, destinando l’uno all’Opg/Rems, l’altro al carcere».

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