Sono passati più di sei mesi da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Da allora sono morti circa 5.500 civili, più di 5,6 milioni di persone hanno lasciato il Paese, e almeno altri 6,3 milioni sono state sfollate internamente. Inoltre, fa notare un editoriale su Nature, «Molte università ucraine e gran parte delle infrastrutture di ricerca sono state bombardate e un quarto del personale di ricerca ucraino – circa 22.000 persone – ha lasciato il Paese».

L’editoriale riassume poi gli effetti a livello mondiale dell’invasione. La Russia, spiega, sta limitando le forniture di combustibili fossili all’Europa e la conseguente carenza di carburante, unita all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas, ha provocato una crisi mondiale nelle forniture energetiche e alimentari e un aumento del costo della vita. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica, inoltre, è seriamente preoccupata per la sicurezza nucleare da quando, a marzo, la Russia ha preso il controllo della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia.

Tutto questo ha spostato l’attenzione internazionale lontano dalla condizione dei cittadini ucraini, sia quelli che hanno dovuto lasciare il Paese sia quelli che sono rimasti per continuare a insegnare, fare ricerca o combattere.

Allo stesso modo, è stato poco raccontato lo sforzo della comunità scientifica mondiale per non lasciare sola l’Ucraina in questo difficile momento. La mobilitazione, racconta Nature, è iniziata fin dai primi giorni dell’invasione. Finanziamenti e borse di studio sono stati assegnati a ricercatori ucraini, e gruppi di ricerca e governi di tutto il mondo hanno cercato di incrementare la collaborazione con i colleghi ucraini. Allo stesso tempo, i paesi europei e gli Stati Uniti hanno preso provvedimenti per escludere i ricercatori russi dal sistema di ricerca mondiale.

Su quest’ultimo punto il dibattito è aperto, e Nature si è schierato apertamente contro un approccio così radicale: «Abbiamo sostenuto, e continuiamo a farlo, che un boicottaggio così generalizzato non è saggio. Come rivista, continuiamo ad accettare manoscritti da ricercatori russi. È necessaria un’azione coordinata per affrontare le numerose crisi e sfide interconnesse che il mondo sta affrontando, e tutti i membri della comunità scientifica globale devono essere uniti».

Nature spiega poi che a giugno i leader degli istituti scientifici dell’Ucraina, degli Stati Uniti e di alcuni paesi europei hanno concordato delle misure di massima per continuare la collaborazione scientifica. Tra queste, l’offerta di programmi di finanziamento ai ricercatori ucraini, l’accesso alle infrastrutture di ricerca all’estero e l’esonero dalle spese di redazione degli articoli e dalle tasse per le conferenze.

In occasione di una conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina, tenutasi a luglio a Lugano, molti governi si sono impegnati ad adottare una serie di principi su come affrontare la ricostruzione del Paese. Tra questi il fatto che la ricostruzione sarà basata sui reali bisogni dell’Ucraina e che la comunità internazionale lavorerà in stretta collaborazione con la popolazione, compresi i ricercatori. «Ciò – sostiene l’editoriale – deve includere anche la ricostruzione e la modernizzazione delle infrastrutture formative e di ricerca dell’Ucraina».

Si tratta di misure apprezzabili e tempestive, necessarie per rassicurare l’Ucraina sul fatto che può contare sul sostegno degli alleati anche se alle prese con gli effetti più ampi della guerra. «L’inverno nell’emisfero settentrionale metterà ulteriormente alla prova la determinazione internazionale a continuare il sostegno al popolo ucraino – conclude Nature –, che sta combattendo per proteggere le proprie vite, le proprie case e la propria terra e per il diritto di vivere in uno stato sovrano. I ricercatori ucraini hanno bisogno che la comunità internazionale resti unita nell’intento di consentire loro di ripartire. È una sfida che non possiamo fallire».

(Foto di Jan Kop?iva su Unsplash)

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