Tre mesi fa parlammo sulle pagine di questo blog dell’esperienza di Simone, partito per il Mozambico per conto dell’associazione Voci e volti di Verona, con l’intento di costruire una scuola nel villaggio di Chuiba. Abbiamo potuto seguire le sue peripezie sul blog che Simone ha tenuto con regolarità. Fino all’ultimo post del 18 maggio, quando il racconto si è interrotto perché, come previsto, Simone si apprestava a salire sull’aereo che l’avrebbe riportato in Italia. L’abbiamo incontrato nella sua città, Ferrara, per chiedergli com’è andata questa prima tranche di progetto.

Allora Simone, come vanno le cose a Chuiba?
Molto bene. Siamo riusciti ad avviare la costruzione di nuove strutture da affiancare alle tre aule che al momento costituiscono la scuola del villaggio. A metà aprile, dopo aver reclutato manodopera dalla comunità locale, abbiamo avviato i lavori di costruzione di cucina, magazzino, ufficio insegnanti, bagni e recinto. Mentre io sono qui a Ferrara i lavori proseguono e a breve dovrebbe essere tutto pronto. Nel frattempo, il 4 aprile sono iniziate le lezioni nelle tre aule già esistenti, costruite dalla ong tedesca Sos, che opera nella zona di Pemba, la città più vicina, a dieci chilometri da Chuiba. Per loro questo è un progetto “satellite”, noi di Voci e volti siamo qui per colmare la lacuna e completare la scuola, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di questo villaggio situato in una zona piuttosto isolata. Oltre all’ampliamento della struttura, ci siamo occupati di assumere il personale per lo svolgimento delle lezioni, ossia tre insegnanti, due cuochi, un coordinatore e una guardia.

Quando tornerai in Mozambico di cosa ti occuperai?
Il prossimo passo sarà avviare un’attività di allevamento di polli, per provare a dare al villaggio una fonte di reddito che possa permettere il sostentamento del progetto scolastico. L’idea è infatti quella di essere sempre meno necessari come associazione. Al momento, sebbene il personale sia alle dipendenze del Comune, siamo noi a pagare i salari. Col tempo questo onere dovrà passare nelle mani della comunità locale, e un’attività commerciale pensiamo possa essere la soluzione per trovare i fondi. In questo ci siamo ispirati a Sos, che ha già sperimentato con successo questa formula. Il difficile è far passare il concetto di progettualità nelle persone. La storia di questo territorio ha prodotto una popolazione fatalista, che vive alla giornata e non riesce a pensare a lungo termine. Sarà l’ultima fase della nostra presenza qui, quando vedremo che ciò che abbiamo avviato continuerà a camminare con le sue gambe, potremo mollare la presa.

Parliamo di te, quali sono stati gli aspetti più difficili e quelli che ti hanno dato più soddisfazione in questi primi mesi?
Un aspetto duro da accettare è stato il non poter condividere con un’altra persona i momenti difficili. Non si tratta della solitudine in sé. Anzi, in questo ho recuperato la capacità di stare con me stesso, pensare, godermi lo scorrere del tempo senza ansia. Piuttosto mi sarebbe piaciuto, in alcuni episodi, avere una persona che sentissi davvero vicina perché ci dessimo fiducia l’un l’altro. Un tema caldo è stato la gestione dei lavoratori. Mi sono trovato a dover dire molti no, per evitare di innescare dinamiche da assistenzialismo nelle persone. Non ci ero abituato, e non è facile. A fronte di questo, la soddisfazione più grande è stata proprio vedere e partecipare alla costruzione. E poi, in un ambiente in cui è difficile stringere relazioni che vadano oltre il rapporto di lavoro, sono le piccole dimostrazioni di affetto a riempirmi di gioia. La più grande l’ho avuta proprio alla partenza. All’aeroporto ho incontrato il solito ragazzo che aiuta le persone con i bagagli. Ci eravamo incrociati nei miei precedenti viaggi, e lui si ricordava di me. Mi ha aiutato con le valigie e alla fine, quando ho fatto per lasciargli una mancia, come da rituale, lui l’ha rifiutata. Mi ha trattato da amico, e questo mi ha commosso. Spesso laggiù sento la tendenza ad avvicinarsi a me in quanto bianco, incarnazione di tutti i cliché del mondo occidentale. Mi riprometto, nei prossimi viaggi, di inserirmi nel tessuto sociale in maniera più autentica.