L’ideale dell’assistenza sanitaria universale, sancito dalla Costituzione italiana, sta subendo un’erosione silenziosa. Anni di finanziamenti inadeguati e tagli al bilancio hanno lasciato il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), un tempo punto di orgoglio nazionale, in difficoltà nel soddisfare le esigenze della popolazione. Un nuovo report dell’osservatorio GIMBE rivela che le famiglie italiane sono sempre più spesso costrette a sostenere di tasca propria le spese per l’assistenza sanitaria.
Nel 2023, la spesa sanitaria complessiva in Italia ha raggiunto i 176,1 miliardi di euro. Di questi, 130,3 miliardi di euro erano di spesa pubblica, mentre i restanti 45,8 miliardi di euro costituivano la spesa privata. È allarmante che la stragrande maggioranza di questa spesa privata, pari a 40,6 miliardi di euro (88,6%), sia stata pagata direttamente dalle famiglie come spese vive. Solo una piccola parte, pari a 5,2 miliardi di euro (11,4%), è stata coperta da fondi sanitari integrativi e assicurazioni. Questa distribuzione è in netto contrasto con quella di altri Paesi sviluppati. Rispetto alle controparti europee dell’OCSE, la spesa sanitaria pubblica pro capite dell’Italia nel 2023 era significativamente più bassa, con un divario di 697 dollari, equivalenti a oltre 41 miliardi di dollari a livello nazionale.
Sebbene la spesa sanitaria privata totale pro capite in Italia superi le medie dell’OCSE e dell’UE, ciò è in gran parte dovuto all’elevata componente out-of-pocket (con questa espressione si intendono le spese pagate direttamente dai pazienti). La spesa per l’assistenza intermediata (attraverso fondi e assicurazioni) rimane ben al di sotto della media europea. Ciò suggerisce che le famiglie italiane non scelgono necessariamente una copertura privata completa, ma sono sempre più costrette a pagare direttamente per i servizi non adeguatamente coperti o non accessibili attraverso il sistema pubblico.
Il rapporto sfata la visione semplicistica secondo cui l’elevata spesa out-of-pocket rifletterebbe direttamente le carenze dell’assistenza sanitaria pubblica. Pur riconoscendo che i bisogni pubblici insoddisfatti vi contribuiscono, l’analisi rivela una realtà più complessa. Si stima che quasi il 40% della spesa out-of-pocket abbia un basso valore aggiunto, in quanto non migliora significativamente i risultati di salute e può essere invece guidata da consumismo o preferenze individuali. Al contrario, una parte significativa della popolazione limita la spesa sanitaria, affronta restrizioni finanziarie temporanee o addirittura rinuncia del tutto alle cure mediche necessarie per motivi economici. Nel 2023, circa 4,5 milioni di persone in Italia non si sono sottoposte a visite mediche o esami diagnostici e per 2,5 milioni di loro la causa principale sono state le difficoltà finanziarie.
La distribuzione regionale delle spese vive complica ulteriormente il quadro. Le regioni più ricche tendono ad avere livelli più alti di pagamenti diretti, il che suggerisce che la capacità di pagare, piuttosto che la sola inadeguatezza dei servizi pubblici, gioca un ruolo fondamentale.
Il rapporto esamina anche il ruolo dei fondi sanitari integrativi e delle assicurazioni, il cosiddetto “secondo pilastro” del finanziamento dell’assistenza sanitaria. Sebbene questi possano potenzialmente alleggerire il carico sulle famiglie, il loro impatto è limitato dalla frammentarietà delle normative e dal fatto che attualmente compensano solo parzialmente le lacune della copertura pubblica. In particolare, una parte significativa della spesa di questi terzi pagatori (31,6%) è destinata ai costi amministrativi piuttosto che ai servizi diretti per gli iscritti. Inoltre, la crescente dipendenza dai fondi integrativi a causa della crisi del sistema sanitario pubblico mette a rischio la loro stessa sostenibilità finanziaria.
Basandosi sul concetto di “assistenza sanitaria basata sul valore”, il rapporto GIMBE va oltre la semplice quantificazione della spesa. Sostiene che l’efficacia della spesa sanitaria dovrebbe essere giudicata in base ai risultati in termini di salute ottenuti rispetto alle risorse investite. Applicando questa lente, il rapporto stima che una parte significativa della spesa pubblica (circa il 19%) sia erosa da sprechi e inefficienze, tra cui l’uso eccessivo di alcune procedure e gli oneri amministrativi. Allo stesso modo, una percentuale considerevole della spesa out-of-pocket è considerata di valore basso o addirittura negativo.
Gli autori del report sostengono che il semplice spostamento delle spese vive verso l’assistenza intermediata (fondi sanitari e polizze assicurative) non sia una soluzione praticabile alla crisi. Propongono, invece, un triplice approccio: un aumento sostanziale dei finanziamenti pubblici per il SSN, l’adozione di misure per migliorare l’adeguatezza dei servizi sanitari e ridurre la medicalizzazione non necessaria e la rivalutazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) coperti dal sistema pubblico, al fine di garantirne la sostenibilità. Senza un sistema pubblico solido e adeguatamente finanziato, il settore privato integrativo rischia di collassare insieme a esso, portando a un aumento delle disuguaglianze e a un sistema sanitario a due livelli, che finirebbe per minare i principi fondamentali dell’accesso universale. Il crescente onere finanziario per le famiglie, unito alle inefficienze del settore pubblico e privato, richiede riforme coraggiose per salvaguardare il diritto costituzionale alla salute e garantire un sistema equo e sostenibile per tutti i cittadini. L’analisi serve a ricordare che l’erosione silenziosa del SSN ha conseguenze sociali ed economiche significative e richiede un’azione decisa per invertire l’attuale traiettoria.
(Immagine generata con l’AI di freepik)
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